Opera

Verdi ed Emma Dante: teatro civile

"Les Vêpres Siciliennes" nella versione originale francese (1855) hanno inaugurato con grande successo la stagione del Teatro Massimo di Palermo. Una regia densa di suggestioni collegate alle tradizioni teatrali siciliane, nella quale gli oppressori francesi dell'episodio storico rievocato nell'opera, avvenuto nel XIII secolo, diventano gli uomini delle cosche mafiose. Omer Meir Wellber ha diretto con impeto sempre controllato, tensione ritmica e vivaci contrasti dinamici. Nella compagnia di canto, in evidenza il basso Erwin Schrott, il baritono Mattia Olivieri e il soprano Semele Zanetti

Il teatro civile di Emma Dante, con il suo sguardo sulla realtà insieme poetico e crudo, suggestivo e cronistico, incrocia il grand-opéra storico-politico di Verdi, Les Vêpres Siciliennes. A Palermo, dove questo titolo non era mai stato proposto nella sua versione originale in francese (Parigi, Opéra, 13 giugno 1855), l’inaugurazione della stagione del Teatro Massimo è una bella affermazione di regietheater. Una lettura coesa e rivelatrice, densa eppure votata a una speciale asciuttezza, che ha il merito di tenere sempre in primo piano la drammaturgia musicale, cercando e trovando i punti di contatto fra la Sicilia del XIII secolo, l’epoca della rivolta contro gli Angioini, e quella di oggi – nel trentennale delle stragi mafiose del 1992.

In questo spettacolo, gli oppressori sono gli uomini delle cosche, guidati da un boss – il viceré Guy de Montfort – che incrocia soffertamente il suo privato con la ragion di mafia, una volta scoperto di avere un figlio tra le fila di chi sta cercando di dire no a quel sistema. Gli oppressi sono i palermitani, che sfilano in processione recando sui gonfaloni le immagini delle vittime di mafia, guidati da un leader severo eppure capace di grande empatia, Jean Procida. È quasi un percorso dentro all’antropologia culturale palermitana, quello che scandisce i cinque atti della rappresentazione. Ci sono citazioni delle tradizioni teatrali (pupi arrugginiti che riprendono vita e dignità) e sguardi sui problemi sociali di sempre: ricchezza e povertà fianco a fianco, discariche che “crescono” nel tempo di un ballo, citazioni sceniche dei luoghi tipici e topici di Palermo, specialmente piazza Pretoria con le sue statue e la sua fontana, intorno alle quali si apre e si chiude la vicenda.

Regia complessa, stratificata, alla quale non a caso partecipano anche gli attori della Compagnia Sud Costa Occidentale, perché qui si va oltre la logica un po’ consunta dei mimi. In realtà, in perfetto clima da grand-opéra, i linguaggi scenici si sovrappongono e si sommano (i movimenti sono curati daSandro Maria Campagna), a fianco dei personaggi ci sono gli eroi civili in effigie e diventa protagonista anche Santa Rosalia, che suggella il dramma passionale-politico a forti tinte del quarto atto. Quanto ai balli tipici del grand-opéra – coreografie di Manuela Lo Sicco – essi sono “spacchettati” lungo tutta la rappresentazione (Quattro Stagioni, una per atto prima dell’ultimo), piegati a logiche espressive e rappresentative multiple. Si passa dalla tradizione ottocentesca alla rivisitazione del teatro di strada antico e sempre attuale, con la musica affidata a fisarmonica, clarinetto e contrabbasso in scena.

Lo spettacolo ha l’ambizione di parlare un linguaggio totale e onnicomprensivo, ambizione non sempre realizzata integralmente, ma spesso colta con grande fascino e sempre perseguita con esemplare chiarezza, come nella straordinaria scena, al secondo atto, del rapimento delle spose siciliane, portate vie come fossero spazzatura dentro ai sacchi di plastica. Vi concorrono magnificamente le scene di Carmine Maringola, in serrato dialogo con le luci di Cristian Zucaro, fondamentali nel loro passare da una puntuale riproduzione del “vero palermitano” a una stilizzazione comunque evocativa e incisiva. Sono pochi elementi, che lasciano tanto spazio alla scena vuota e quasi sempre oscura, riempita non solo dai cantanti ma anche dagli attori e dai mimi, senza che mai una volta si sfiori l’impressione delle masse accumulate per la necessità dell’effetto.

Meno efficaci i costumi di Vanessa Sannino, un po’ divaganti fra attualità e citazioni multiple di epoche antiche, dall’Ottocento parigino di Hélène al Medioevo del suo innamorato Henri o di Procida o dello stesso Montfort. La distinzione fra il popolo pronto a insorgere e gli oppressori è chiara, ma né da una parte né dall’altra ciò avviene con costumi all’altezza dell’immaginario complessivo della rappresentazione, sontuosa eppure essenziale, mai fine a sé stessa neanche quando deve concedere qualcosa alla decorazione.

“Les Vêpres Siciliennes” al teatro Massimo di Palermo, una scena del II atto (foto Rosellina Garbi)

Sul podio c’era naturalmente il direttore musicale palermitano Omer Meir Wellber, che ha dato vita a un’esecuzione di grandi accensioni ritmiche e dinamiche, di plastica intensità espressiva, ottimamente assecondato – all’ascolto della diretta televisiva in streaming – dall’orchestra del Massimo. Nelle Vêpres del direttore israeliano si coglie l’importanza di una partitura spesso sottovalutata, in realtà incrocio fecondo e per molti aspetti mirabile fra il linguaggio messo a fuoco nella trilogia popolare e le esigenze stilistiche del grand-opéra francese. L’orchestra è protagonista, specie nei formidabili duetti spesso al calor bianco sentimentale e nei concertati, e il fraseggio delineato da Wellber lo ha sottolineato con efficacia.

Nel cast vocale, doppio debutto nei ruoli principali di Hélène e Henri. Sfida vinta dal soprano Selene Zanetti, che ha realizzato la complessità delle spesso contrastanti motivazioni del personaggio della duchessa con linea di canto nitida, incisiva, di appropriato impatto drammatico. Meno efficace il tenore Leonardo Caimi, colore non sempre limpido e controllo intermittente, che è venuto tuttavia a capo della prova grazie alla sua buona musicalità e all’apprezzabile approfondimento stilistico. Positivo il Montfort di Mattia Olivieri, giovane baritono apparso in scena un coetaneo di colui che figurava come suo figlio, ma dotato di un bel timbro espressivo e di notevole intensità e sottigliezza nel fraseggio, come ha dimostrato la sua grande Aria nel terzo atto, “Au sein de la puissance”.  Gran scena e gran voce ha sciorinato Erwin Schrott, Procida in partecipazione straordinaria solo per la prima rappresentazione. In questo personaggio – Emma Dante gli fa cantare la sua celebre Aria di sortita, “Et toi, Palerme”, su una barca sospesa a mezz’aria – si mescolano buoni sentimenti e spietatezza per la causa, e il basso uruguaiano ha reso questa complessità psicologica evidente nella ricchezza di sfumature espressive giocate con sapiente disposizione attoriale. Bene i comprimari (Carlotta Vichi, Matteo Mezzaro, Francesco Pittari), molto bene il coro istruito da Ciro Visco e il corpo di ballo del Massimo diretto da Davide Bombana. Fra i solisti nelle parti danzate, da citare Carmen Marcuccio, Noemi Ferrante e Gaetano La Mantia.

Successo lietissimo, trionfale per Schrott, Wellber ed Emma Dante. Lo spettacolo è disponibile gratuitamente online e on demand su Arte Tv.

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