Opera

Un “Don Pasquale” di scarsa verve

A conclusione di OperaEstate Festival a Bassano la nuova produzione del capolavoro di Donizetti con i cantanti vincitori del concorso Toti Dal Monte di Treviso. Positiva la parte musicale, grazie alla direzione di Giancarlo Andretta, ricca di sfumature e precisa. Interessante il giovane cast composto da Giulia Mazzola, Adolfo Corrado, Matteo Guerzé e Pietro Adaini. Più velleitario che brillante lo spettacolo firmato da Giuseppe Emiliani con scene virtuali di Federico Cautero

Grazie alle infallibili antenne dell’uomo di teatro di razza, all’ultimo passo delle sue incursioni nel genere comico, Gaetano Donizetti confeziona con Don Pasquale un capolavoro di multiformità stilistica. Il punto di riferimento generale, saldo e mai perso di vista, è il “gusto francese”, visto che l’opera fu scritta per il parigino Théâtre des Italiens, dove debuttò il 3 gennaio 1843. È una cornice di stile e di sensibilità, che prende le mosse da una commedia allo stesso tempo ironica e salace, nella quale spicca il pragmatismo cinico sia della primadonna, la finta ingenua Norina, sia del suo gran consigliere, il dottor Malatesta. Così, i risaputi meccanismi del buffo nell’opera – un vecchio caricaturale messo alla berlina e alla fine sopraffatto e sconfitto – assumono una tinta un po’ diversa. La lucida “recita” della protagonista ne fa un personaggio del tutto “moderno” rispetto ai cliché di inizio Ottocento: la sua malizia non è un attributo scenico ma un elemento psicologico sostanziale. E basti pensare alla disinvoltura con cui maneggia senza scrupoli sociali l’istituto matrimoniale. In parallelo, e come effetto delle soperchierie cui viene sottoposto, Don Pasquale non è semplicemente il solito “baggiano” messo alla berlina, ma un personaggio che si rende conto della sua decadenza e della sconfitta, esprimendo quindi una malinconia desolata e desolante.

A questo tessuto drammaturgico la partitura donizettiana corrisponde con una brillantezza e un’eleganza che da un lato non possono esimersi dai riferimenti rossiniani (inevitabili a Parigi nei primi anni Quaranta dell’Ottocento) e dall’altro sembrano quasi divertirsi a trovare nuove forme espressive nella grande libertà che il compositore si concede all’interno delle forme di tradizione (specie i duetti) non senza un incessante svariare ritmico che costituisce uno degli elementi musicalmente più accattivanti dell’opera. In particolare, il Valzer e i tempi ternari che attraversano larga parte del terzo atto sono straordinari, perché riescono ad essere allo stesso tempo “decorazione” spumeggiante ed elemento sostanziale della drammaturgia: la danza alla moda accompagna il protagonista in titolo alla più amare delle disillusioni e gli altri personaggi al trionfo del sentimento e dell’astuzia.

Di questa sofisticata profondità e complessità creativa ha reso assai bene conto Giancarlo Andretta nel guidare l’esecuzione del Don Pasquale che ha chiuso a Bassano la quarantunesima edizione di OperaEstate. Ritornato sul podio al festival nella città del Grappa dopo una lunga assenza, Andretta ha condotto la Filarmonia Veneta a un’esecuzione stagliata e incisiva. Il preciso controllo delle dinamiche, la nitidezza del fraseggio, il suono trasparente e il puntuale controllo del rapporto con la scena sono state le basi di un’interpretazione che ha saputo mettere in evidenza l’ironia donizettiana non meno che la sua inclinazione alle sottolineature malinconiche. Brillante e sentimentale a confronto, dunque, con equilibrio e scelte stilistiche convincenti per leggerezza ed eleganza.

Una scena del terzo di “Don Pasquale”, in scena a Bassano a conclusione di OperaEstate Festival

Non esattamente sulla stessa linea d’onda è parso lo spettacolo di Giuseppe Emiliani, una co-produzione che ha visto coinvolti con OperaEstate il Comunale di Treviso, il Verdi di Padova e il Sociale di Rovigo. Il regista sembra puntare sulla commedia borghese ma in realtà non rinuncia ai tic e ai cliché dell’opera buffa – fra servette ammiccanti nelle controscene e luoghi comuni del comico recitato e cantato. Né aiuta la scenografia virtuale (“progetto visual”) di Federico Cautero, che utilizza un doppio velario (a proscenio e sul fondo) per proiezioni che non sono parse né di tecnologia sbalorditiva né di creatività davvero coinvolgente. Ne risultano ambienti un po’ troppo “conventuali” (archi, colonne… ) per essere borghesi e un po’ troppo generici per collocare con effettiva efficacia la vicenda negli anni Venti del secolo scorso, come da intenzioni registiche e da costumi (firmati da Stefano Nicolao). Si aggiunga che probabilmente le ridotte dimensioni del palcoscenico della Sala Da Ponte, sede dello spettacolo, hanno creato qualche difficoltà, ma a questo sua prima uscita l’allestimento è parso più velleitario che efficace, brillante con molta moderazione e per nulla incline alle sottolineature sentimentali o malinconiche.

Resta da dire della compagnia di canto, composta per tre quarti dai vincitori del concorso lirico “Toti Dal Monte”, tenutosi nello scorso mese di giugno al Comunale di Treviso. Adolfo Corrado è stato un Don Pasquale un po’ bloccato dal punto di vista scenico ma molto interessante sul piano vocale, con un bel timbro di basso assai duttile ed espressivo e una conduzione del fraseggio stilisticamente appropriata. Giulia Mazzola ha dato alla sua Norina la giusta spigliatezza scenica ed è risultata vocalmente del tutto appropriata: timbro chiaro, linea di canto sempre efficace, facilità sull’acuto per una caratterizzazione in cui ironia e malizia si sono mescolate con accattivante fluidità. Positiva anche la prova del baritono Matteo Guerzé, un Malatesta a suo agio sia nel canto spianato che nella coloratura, come ha dimostrato lo straordinario duetto con il basso del terz’atto. Nelle parti non assegnate dal concorso, in evidenza il tenore Pietro Adaini, un Ernesto svettante eppure riflessivo, capace di sfumature liriche interessanti. Caricaturale come dev’essere il Notaro di Antonio Feltracco, per la parte che più viene dal passato di quest’opera. Attento il coro Iris Ensemble istruito da Marina Malavasi, che più di tutti ha avuto a che fare con le ristrettezze degli spazi (ma anche con certe statiche scelte registiche).

Foto © Giancarlo Ceccon / OperaEstate Festival

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