Leopold Weninger era un oscuro musicista di nessun interesse della prima metà del Novecento. I più dettagliati repertori musicali non gli dedicano una riga e solo se conoscete il tedesco riuscirete a trovare qualche sua notizia in Rete. Eppure, in queste settimane godrà di una notorietà mai raggiunta durante la sua vita, conclusasi nel 1940 all’età di sessant’anni. Intorno al suo nome, infatti, si sta sviluppando la clamorosa novità del prossimo Concerto di Capodanno a Vienna: la popolarissima Marcia di Radetzky, il brano che per immutabile tradizione costituisce l’ultimo bis del programma, verrà eseguita in forma “denazificata”. È per questo che le luci si accendono su Weninger: oscuro, sì, ma anche nazista, iscritto al partito fin da prima della salita al potere di Hitler, attivo nell’ufficio culturale del partito per la zona di Lipsia. Autore, soprattutto, dell’arrangiamento della Marcia – scritta nel 1848 da Johann Strauss padre – che per tradizione praticamente ottantennale viene eseguito nella sala del Musikverein. E che è quello oggi universalmente conosciuto.

Weninger vi pose mano a metà degli anni Trenta; qualche anno dopo il pezzo in questa versione – già inserito nel repertorio dei corpi musicali delle SS – diventava un caposaldo del programma viennese, culmine di un concerto che iniziò in pieno nazismo, nel 1939, si tenne per tutti gli anni del conflitto ed è proseguito senza soluzione di continuità a guerra conclusa. Ora accusano la sua versione di eccesso di militarismo e di evidenti intenzioni propagandistiche. Avessero detto che fu imposta per ragioni politiche, avrebbero avuto probabilmente anche ragione, ma si parla proprio di fatti squisitamente musicali. Orchestrazione, accentuazione del ritmo e così via. A quanto pare il nuovo arrangiamento curato “in casa” dai Wiener, che il direttore Andris Nelsons eseguirà verso le 13.30 alla testa dei Wiener Philharmoniker la mattina del prossimo Primo Gennaio, risponde molto di più all’originale: meno scandita, più morbida e “viennese”. Non marziale.
Nel mirino anche l’abitudine di battere a tempo le mani accompagnando l’orchestra: consuetudine nazista. Insomma, il pubblico internazionale che da sempre affolla quella che è forse la più popolare manifestazione musicale non pop-rock dei nostri tempi, soggiace ignaro da più di settant’anni alla propaganda hitleriana. Fosse vero che da qualche parte in Sudamerica il dittatore è sopravvissuto a lungo all’incenerimento del suo Reich millenario, avrebbe avuto di che compiacersene.
Eppure, una domanda sorge spontanea – come suole dirsi. Ammesso e non concesso che sia davvero così, che l’arrangiamento di Weninger è un’esaltazione in musica del nazismo, com’è possibile che a Vienna ci abbiano messo 73 anni a liberarsene? Pare che qualche direttore, nei decenni scorsi, avesse avuto qualche perplessità ma che non sia mai riuscito a far prevalere l’idea di cambiare. È un fatto che se cercate la Marcia su Google, la prima occorrenza che trovate è un video di YouTube, il cui titolo affianca la venerata memoria di Claudio Abbado, sicuro democratico, con il nome dell’oscuro nazi-arrangiatore… Risposta intuitiva: gli affari sono affari. La Marcia di Radetzky è un “greatest hit” e ha un ruolo centrale nell’assicurare la montagna di denaro generata dal Concerto di Capodanno: vendita di dischi, di video e Dvd, dei diritti televisivi in settanta o più paesi del mondo e quant’altro. Non è mai troppo tardi per correggersi e cambiare, ma non è certo una bella figura, quello che fanno i sommi Wiener Philharmoniker. Come minimo sono stati molto distratti per molto tempo…

Comunque, dal 2020 si rimedia: la Marcia di Radetzky sarà denazificata, si riparte dalla versione originale, l’urtext come dicono i tedeschi. Alles in ordnung, caso chiuso? Mica tanto… A questo punto, non si può fingere di ignorare che Johann Strauss senior era un riprovevole ammiratore e sostenitore dell’impero asburgico oppressore dei popoli in rivolta per la libertà, nel fulgido 1848. Il nuovo arrangiamento della Marcia sarà anche libero da “ombre brune”, ma l’originale a cui fa riferimento è un inno reazionario e anti-libertario, motivato dall’entusiasmo (e dal sollievo: anche Vienna era stata attraversata dalla rivolta) per la vittoria di Custoza, con cui alla fine di luglio di quell’anno Radetzky aveva stroncato le speranze dei patrioti italiani. Quella musica, come si legge nel frontespizio di una pubblicazione d’epoca, fu scritta “in onore del grande generale” e fu anche “dedicata all’Imperial-Regio esercito”. Militarismo al quadrato, culto di una personalità al servizio della reazione sul filo delle baionette. Un pezzo scritto per festeggiare l’oppressione dei popoli, quello italiano della Lombardia e del Veneto, prima di tutto, ma con esso tutti i popoli delle nazionalità conculcate dagli Asburgo a metà dell’Ottocento.
Da qualsiasi parte la si giri, questa Marcia è una grana. Solo apparentemente unisce nel gradimento i pubblici di tutto il mondo, in realtà è profondamente divisiva. Forse la soluzione finale è una sola: non eseguirla proprio più.
Fuori di provocazione: anche se arrangiata dal propagandista nazista Leopold Weninger, dopo settant’anni di fasti esecutivi viennesi per Capodanno la Marcia di Radetzky è mondata da ogni ombra, novecentesca o risorgimentale. Si è auto riscattata, per così dire. Il suo presunto bieco militarismo è stato sublimato. Oggi non è più un simbolo di niente tranne che di se stessa e soprattutto del piacere di ascoltarla. Sarebbe molto più semplice lasciare tutto come sta, ma è inutile illudersi. Forse è proprio quel piacere che ci vogliono togliere.