Concerti

Emanuel Ax, il pianoforte raffinato

L'interprete americano di origine ucraina ha proposto per la Società del Quartetto al teatro Comunale di Vicenza un recital all'antica: un florilegio di piccoli pezzi da Schumann a Brahms, da Chopin ai "Valses nobles et sentimentales" di Ravel. È stato il trionfo di un suono meditato ed equilibrato, di un pensiero esecutivo dalle molteplici sfumature, che ha ripudiato l'effetto fino a se stesso e il virtuosismo come effetto senza causa, facendo vincere la musica

Nel salotto di Emanuel Ax, il pianoforte è un protagonista squisitamente “demodé”. Che proprio per questo aspira però, legittimamente, all’universalità. Il fascino e l’eleganza non sono inutilmente esteriori, ma appaiono distillati con la classe di un pensiero musicale sofisticato e lungamente elaborato, lontano dalla tendenza del pianismo di oggi: atletico, estroverso, “tirato”. Vicino invece a una sensibilità che gioca l’espressione su un suono dalle sfumature delicate eppure straordinariamente nitide.

Non è un pianista che insegue le mode, Ax. E quindi il suo recital ha un sapore decisamente “vintage”: niente “progetti”, com’è di moda dire oggi quando di un autore si fanno due o tre pezzi nella stessa serata. Niente mono-grafie, termine che nella prima parte ha la stessa componente semantica di mono-tonia: ciò che è singolo o esclusivo finisce per annoiare. Anzi, il quasi settantenne interprete americano di origini ucraine può tranquillamente permettersi di impaginare un programma che non solo fa a meno dei grandi del Classicismo per puntare sul Romanticismo e sul primo Novecento (non senza un’incursione ai giorni nostri), ma soprattutto si tiene a distanza dalla Sonata come “main stream” del pensiero creativo fra Sette e Ottocento e realizza invece il suo personale omaggio alla poetica del frammento, del pezzo dalle dimensioni limitate ma di profonda e multiforme forza comunicativa. Il che vuol dire avere naturalmente come centro di gravità Schumann (Pezzi fantasticiop. 12), spingendosi poi fino al Brahms della maturità (che aveva appunto abiurato la giovanile fede sonatistica) con le due Rapsodie dell’op. 79, per arrivare fino alla modernità di Ravel, che destruttura da par suo il ritmo del Valzer con i suoi otto Valses nobles et sentimentales. Non senza un’incursione nella poesia di Chopin, con una piccola scelta di Notturni (uno nel programma, l’altro come bis) e di Mazurche (le tre dell’op. 50), concedendo al virtuosismo esteriore solo il gran finale (anche qui, secondo storica tradizione), grazie all’Andante spianato e grande Polacca brillante  op. 22. Nella prima parte, c’era una piccola nicchia anche per l’espressione contemporanea, che da sempre è in primo piano nel mondo culturale e musicale di Emanuel Ax. Proposta in linea, ovviamente: lePiano figures  di George Benjamin sono del 2004 e si possono anche ascoltare come un riferimento a Schumann: sono dieci piccoli pezzi, agglomerati armonici neanche così dissonanti, giustapposti nei tempi e nei caratteri, elementi sonori galleggianti, che svaniscono rapidamente. Impagabile l’ironia di Ax nel rivolgersi agli “invitati” del suo salotto per dire due parole su questa musica: sono pezzi così brevi che se non piacciono non c’è da preoccuparsi, finiscono subito…

Un recital come non si sentiva da tempo, insomma, quello che ha attirato un pubblico molto folto al teatro Comunale di Vicenza, inserito nella stagione della Società del Quartetto. E come quasi nessuno propone più, nell’era del pianismo atletico e abbagliante.

Il Comunale non è certo un salotto, ma Ax ci ha messo pochissimo a creare l’atmosfera giusta, ad accorciare lo spazio esteriore per disegnare una dimensione interiore nel suono e nel fraseggio capace di accompagnare il pubblico in un percorso di sfumature, sottili eleganze, trasalimenti, accensioni drammatiche. Accesso vietato alle perorazioni fini a se stesse, alle esasperazioni dinamiche, ai contrasti così accesi da risultare implausibili. Con Ax, il mondo sonoro di Schumann è esattamente quello che annuncia il titolo dell’op. 12: fantasia. Meditata, eppure non certo priva della brillantezza che serve, quando serve. Libera di esprimersi nella evidente profondità del pensiero dell’interprete. Il quale poi, nella seconda parte (il clou della serata, musicalmente parlando), dapprima ha sottolineato con magnifica adesione stilistica e di suono gli scarti nervosi con cui Ravel dissolve armonicamente e ritmicamente la tradizione del Valzer per trarne umori modernisti di straordinaria attualità anche per gli ascoltatori di oggi. Quindi ha cesellato il pianismo di Chopin con magnifica originalità: contrasti, accensioni espressive, ma comunque una fedeltà al testo capace di esaltare l’implicita forza drammatica della scrittura, come ha dimostrato più di tutto la Mazurka in Do diesis minore, raramente ascoltata così, quasi lancinante.

Successo vivissimo.

Foto © Angelo Nicoletti

 

 

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