Con passo lento ma sicuro, Filippo Gamba prosegue il suo lungo viaggio nelle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven. C’è chi risolve la sfida in un exploit super concentrato: sette recital in un paio di stagioni, e l’integrale è servita. Il pianista veronese fa la scelta più riflessiva e meno incline alla prassi del sistema concertistico internazionale. La sua maratona in dieci serate è destinata a concludersi solo nel 2021, ammesso che non ci siano altri ritardi rispetto al programma iniziale. In realtà, sei mesi sono già stati persi, se è vero che il recente concerto, proposto a chiusura della stagione della Società del Quartetto, il terzo della serie, si sarebbe dovuto tenere nello scorso ottobre, almeno secondo il calendario stilato dallo stesso pianista nel suo sito Internet. Si vedrà, anzi si ascolterà. Nei suoi programmi Gamba non salta passaggi, non tenta affrettati recuperi e persegue la logica dell’ordine cronologico anche se questo significa inevitabili momenti “secondari”, appuntamenti del tutto privi dei grandi capolavori pianistici, quelli che tutti gli appassionati conoscono ma che nel recinto delle Sonate – stando larghi – sono al massimo una quindicina.

In ogni caso, la rigorosa scansione di questo progetto ha regalato l’altra sera al pubblico, che peraltro non affollava il teatro Comunale di Vicenza (molti i posti vuoti), due pagine ragguardevoli. La “ciliegina” era costituita dalla popolarissima “Patetica”, indiscusso capolavoro giovanile beethoveniano, ma in apertura campeggiava anche la massiccia e significativa Sonata op. 10 n. 3, con il suo drammatico e funebre movimento lento. Soltanto la Sonata op. 14 n. 1 – di questo programma – si poteva considerare “minore” (il che si dice volutamente contraddicendo chi trova elementi di eccezionalità in ogni pentagramma vergato dal “titano” tedesco).
Come sempre introdotte dalle parole del musicologo Alessandro Zattarin (questa volta un po’ troppo incline al tecnicismo della forma e dell’armonia e meno propenso, come in precedenza, a chiarimenti storico-biografici) queste pagine hanno dimostrato la sicura vocazione di Gamba per un taglio interpretativo nel quale il rigore classicistico non è mai disgiunto da un’approfondita riflessione sulla natura dell’espressività beethoveniana, con i suoi vigorosi scarti, le sue rapide accensioni, le improvvise perorazioni. Ne sono uscite esecuzioni di grande nitidezza, dal fraseggio elegante ed agile quanto preciso, secondo gli esempi della tradizione viennese di Haydn e Mozart. Ma anche di forti accensioni dinamiche e di scelte di tempo volutamente divergenti in funzione retorica, intendendo il termine non in senso negativo, ma come musicale sottolineatura dei contrasti. Esemplare in questo senso la successione dei primi due movimenti dell’op. 10 n.3, che ha quasi teatralmente giustapposto il moto rapidissimo e la brillantezza del “Presto” con le dolenti riflessioni, trattenute nei tempi ma non certo avare di colori, del seguente “Largo e mesto”. E soprattutto coinvolgente la scelta in base alla quale l’introduzione “Grave” della Sonata Patetica ha disegnato un clima non semplicemente drammatico e introspettivo, ma di attesa, quasi di incertezza esasperata dalle generose pause, prima di precipitare nel gorgo trascinante dell’“Allegro di molto e con brio” e tuttavia di riemergere e di tentare di frenare la dinamica stringente dell’invenzione, attribuendo all’insieme una tinta espressiva di grande forza soggettiva, fatta di brucianti contrapposizioni.
Alla fine, grandi applausi e bis con una pagina assai poco nota di Hindemith (dalla seconda Sonata per pianoforte) e un breve Valzer di Schumann.
Foto © Angelo Nicoletti