Opera

Figaro e Susanna, il moto perpetuo

Pieno successo al Teatro Comunale di Bolzano per l'allestimento - proveniente dall'Opera di Lipsia - firmato da Gil Mehmert: costumi anni '60 (e Cherubino yè-yè), scene in stile rococò. Spettacolo a sviluppo verticale, di grande dinamismo. Positiva la compagnia di canto, con un'eccellente protagonista nel soprano Olena Tonkar; non altrettanto efficace la direzione musicale

Il palazzo del Conte di Almaviva, in stile rococò molto austriaco, si vede in sezione, formicolante di umanità nei suoi numerosi vani. Al piano nobile il padrone di casa e la sua consorte, ciascuno con la sua stanza perché da tempo l’amore è sfiorito. Vicini gli alloggi dei loro servitori, Figaro e Susanna. Nell’ammezzato, collegato con una scala a chiocciola, ecco la sfilata dei camerini: armadi, servizi, nascondigli ideali per l’incessante gioco di apparizioni e occultamenti di cui vive il gran capolavoro di Mozart e Da Ponte, Le nozze di Figaro. Non bastasse, anche il montacarichi diventa, se serve, “abitabile”. Da lì con due ampie scale si scende di un piano e si arriva al livello del palcoscenico, dove ci sono gli spazi comuni, che danno sul giardino: quelli in cui molto, ma non tutto accade, perché lo sviluppo di questo spettacolo è autenticamente verticale e la sua dinamica è davvero attenta a quella disegnata dagli autori del capolavoro operistico. Cioè incessante e travolgente, un meccanismo ad orologeria che scandisce i momenti della “folle journée” inventata da Beaumarchias e “adattata” dal librettista di Ceneda con tutta l’attenzione necessaria a espungere il troppo chiaramente ed eversivamente politico (ovvero la rivalsa del Terzo Stato nei confronti della Nobiltà, alla vigilia della Rivoluzione francese).

Si parla di un allestimento nato all’Opera di Lipsia e approdato – all’insegna di una efficace collaborazione – anche al Comunale di Bolzano, nell’ambito della stagione Oper.a 20.21, accolto da un lietissimo successo. La regia è firmata da Gil Mehmert (agli scenografi Jens Killian ed Eva-Maria van Acker si deve l’architettura sopra descritta, scena fissa di notevole effetto e di grande funzionalità), che risolve il tema politico, del resto già disinnescato da Da Ponte, con la sottolineatura del divario generazionale fra i personaggi principali, affidata ai costumi di Falk Bauer oltre che alle scelte di una gestualità caratterizzante. Susanna e Figaro sono giovani, molto più dei loro padroni ma non tanto quanto Cherubino, che ronza tutto intorno con gli ormoni in subbuglio. È questo divario generazionale ad essere “trasportato” senza danni in un’epoca non troppo lontana (ma già anch’essa storica) come gli anni ’60, quando peraltro divenne elemento di una “rivolta” politica che ha segnato tutto il secondo Novecento. E dunque, Cherubino è dipinto come un ragazzino yè-yè, un rockettaro che per intonare la sua immorale Aria, “Voi che sapete”, impugna una chitarra elettrica. Anche il maestro di musica Basilio, in    questa logica, cerca di stare al passo con i tempi e si presenta con una tastiera elettrica nel Finale primo, ma sortisce solo un effetto grottesco, com’è nel testo e nella partitura.

Assolto con questo taglio interpretativo il senso “rivoluzionario” delle Nozze – elemento che peraltro la regia moderna non a torto sempre più spesso lascia in secondo piano, se non lo cancella del tutto – il regista Mehmert si dedica con risultati senz’altro positivi a mettere in luce come l’universalità delle Nozze di Figaro, classico dell’era moderna se altri mai, consista nella profondità dei suoi percorsi psicologici, che hanno per tutta l’opera un corrispondente in percorsi anche reali. Dentro e fuori dagli armadi, sopra e sotto le poltrone, dietro a porte chiuse a chiave che tali non sono, giù dalle finestre e di corsa per i prati, questo capolavoro immenso dipinge una commedia umana sul tema d’amore nel quale la disillusione tiene il passo della speranza e l’inganno soltanto alla fine troverà il balsamo (almeno apparente) del perdono. Perché è vero quello che ha annotato molto tempo fa Massimo Mila: non c’è personaggio qui che non sia impegnato nella sua personalissima ricerca della felicità. Questo spettacolo lo racconta con una freschezza che coinvolge, lasciando quasi sempre tutti i personaggi a vista, anche quando non sono di scena, in un moto perpetuo gestuale e di entrate-uscite che fra l’altro dipana con grande precisione e rende evidente il complesso meccanismo teatrale dell’opera.

Non altrettanta efficacia viene dimostrata dal giovane direttore Enrico Calesso, veneto di Treviso molto attivo in Germania (è direttore principale a Würzburg) che non ha né l’eleganza né la brillantezza necessarie a rendere giustizia alla miracolosa partitura mozartiana. Le dinamiche sono squadrate, nonostante l’orchestra Haydn suoni bene come sempre e il fraseggio risulta spesso generico, lontano dall’ironia e dalla trasparenza – come pure dalla grazia malinconica – che sono la cifra estetica di fondo delle Nozze.

Complessivamente più che positiva, invece, la prova della compagnia di canto, nella quale spicca per musicalità ed efficacia la Susanna di Olena Tokar, che ha scena, stile, voce tagliati su misura per questo personaggio troppo spesso tenuto quasi in secondo piano, quando invece è il più autentico protagonista dell’opera. E dunque, soprattutto, energia e freschezza, ma anche ironia e malizia, in un ritratto di grande effetto musicale e drammaturgico. Al suo fianco, Sejong Chang possiede a sua volta il fisico del ruolo di Figaro e fa intendere buone qualità vocali, che la complessità richiesta dalla parte a volte lascia un po’ sotto traccia, specie nel declamato, anche per le caratteristiche di una voce forse leggermente troppo chiara. Notevole la prova di Mathias Hausmann, un Almaviva di adeguata prestanza vocale e di apprezzabile sottigliezza stilistica. Doti che lascia intuire pure il soprano Gal James, che disegna una contessa patetica al punto giusto, ma vocalmente discontinua per un’emissione a volte quasi esangue, che nuoce alla qualità del timbro. Completa il quintetto dei personaggi principali Wallis Giunta, un Cherubino fremente e ingenuo, scenicamente assai vivace, vocalmente caratterizzato da una linea di canto morbida ed espressiva, sottolineata da una bella tinta vocale color dell’ambra. Assai bene assortito il folto gruppo dei comprimari, da Randal Jakobsh, un Don Bartolo di rilevante peso sul grave, a Patrick Vogel, un Don Curzio di ilare seriosità; da Marco Camastra, esuberante nel ruolo del giardiniere Antonio, a Karin Lovelius, Marcellina bisbetica e sarcastica; da Magdalena Hinterdobler, che dà la giusta dose di ingenua malizia a Barbarina, a Dan Karlström, un Basilio grottesco ma non caricaturale. In linea la misura attenta del coro Haydn, istruito da Luigi Azzolini.

Foto: Kirsten Nijhof

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