Concerti

La Quarta: i lucidi rigori di Brahms

Il capolavoro sinfonico proposto dall'orchestra del Teatro Olimpico al Comunale di Vicenza in un'esecuzione equilibrata e intensa, che ha visto emergere l'ottima qualità della sezione dei fiati. Nella prima parte, spazio al Concerto per violino dell'autore tedesco, con Alexander Janiczek come solista

Alexander Lonquich non cessa di alzare l’asticella dell’impegno e della difficoltà per l’Orchestra del Teatro Olimpico. Com’è giusto che sia per un’orchestra giovanile che non voglia limitarsi alla routine del suonare insieme, ma affronti occasioni di crescita autentica. Lo dimostra la presente stagione, densa di insidiosi quanto affascinanti incontri musicali: programmi a base di grandi nomi e grandi composizioni si susseguono dallo scorso autunno, assommando alla complessità esecutiva e interpretativa il rischio creato dalla popolarità di un repertorio rispetto al quale è naturale che ogni appassionato abbia una personale “versione di riferimento”, pietra di paragone inevitabile per un confronto potenzialmente inclemente.

Eppure ha ragione Lonquich. Per restare all’ultimo appuntamento, lunedì scorso al Comunale di Vicenza, è vero che il Concerto per violino e la Quarta Sinfonia di Brahms sono conosciutissimi e ne esistono decine di edizioni discografiche con tutte le più grandi orchestre del mondo, con le maggiori bacchette e con i più celebri solisti, ma non per questo bisogna rinunciare alla sfida. Perché la portata formativa di questo temibile confronto è comunque straordinaria. E perché non è detto, poi, che i risultati non vengano.

Lo si è colto chiaramente nel concerto vicentino, che è stato salutato da un successo calorosissimo e ha detto un paio di cose molto positive sull’Orchestra del Teatro Olimpico. La prima è una conferma di quanto già accaduto a Vicenza in passato, quando questa formazione non era giovanile: eseguire gli autori del Romanticismo pieno, o della fine dell’Ottocento (per non parlare del Novecento cosiddetto “storico”) è del tutto legittimo anche senza organici di grandi o grandissime dimensioni. Come attesta del resto anche l’esperienza di un gruppo numericamente ridotto ma agguerritissimo sul piano del suono qual è la Kammerphilharmonie di Brema. E come ha dimostrato la Oto grazie alla sapiente azione di equilibrio della direzione di Lonquich, che non lascia mai nessuno per strada e persegue la sua idea con ammirevole efficacia, commisurando i piani dinamici e le linee espressive con il “materiale” a disposizione. La seconda è che la Oto dispone – senza nulla togliere alle altre parti – di una sezione di fiati (i legni, soprattutto, ma anche gli ottoni) di alta qualità e di musicalità matura, efficace, ricca di un suono spesso affascinante, impeccabilmente inserita nell’insieme.

Sono tutti bravi, ma una doppia citazione è d’obbligo. Nell’Adagio del Concerto per violino di Brahms, l’oboe ha un ruolo praticamente solistico, quasi preponderante rispetto alla sempre complessa, poco “redditizia” scrittura riservata da Brahms all’arco solista: Francesca Rodomonti ha risolto questa parte con suono elegante, incanalando il suo simpatico piglio esuberante in una prova di impeccabile rigore stilistico eppure di grande libertà espressiva. Nella Quarta Sinfonia, poco prima della metà dell’ultimo movimento – monumentale Passacaglia in cui l’antichità musicale confluisce nel severo controllo brahmsiano con esito altissimo – il flauto ha un ampio intervento in primo piano, che poi si trasferisce al clarinetto e quindi ai tromboni, uno dei momenti di più limpida poesia nell’intera opera brahmsiana: Giulia Baracani l’ha disegnato con una partecipazione di rara intensità, capace di delineare nel fraseggio e nell’introspezione coloristica una struggente, sofferta dolcezza. La stessa emozione profonda che aveva “dettato” a Fernando Bandini, il grande poeta vicentino scomparso nel 2013, una delle sue poesie più celebri e belle:

“Insegnami a far versi / Brahms alla tua maniera nella Quarta / imprigionando il cuore che suda e ansima / in lucidi rigori” […] “Insegnami a star calmo / se il sogno s’intravvede come vero” […]

Parole che illustrano, perfino meglio di tanti studi musicologici, l’essenza dell’arte di Brahms, la sua pervicacia classicista e oggettiva all’interno delle tensioni soggettive e romantiche. E quest’essenza, ci pare, è stata colta bene da Lonquich (del resto, lui pure un classicista che ama sporgersi sugli abissi romantici). Il direttore di Treviri ha delineato sia del Concerto che della Quarta una lettura nella quale il colore del suono e le sfumature della frase erano sempre – e allo stesso tempo – capaci di risultare nitide senza tradire una forza espressiva in grado di andare oltre al rigore formale. La Oto lo ha assecondato, fiduciosa e impegnata, esprimendosi con una duttilità e una sicurezza davvero rilevanti. Nel Concerto, il violinista Alexander Janiczek (che poi nella Quarta si è seduta al leggio della “spalla”) si è proposto con grande concentrazione, suono un po’ sottile all’inizio – a fronte delle digressioni sinfoniche affidate dal compositore alla parte orchestrale – ma progressivamente più sicuro e incisivo.

E la serata Brahms, alla fine, è stata salutata da un tripudio di applausi.

Foto © Angelo Nicoletti

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