Concerti

E Schubert canta il dolore di vivere

Un anno dopo la "Winterreise", il Quartetto di Vicenza ha nuovamente chiamato il magnifico baritono Matthias Goerne e il sensibile pianista Alexander Schmalcz per "Die Schöne Müllerin". Oltre le poesie agresti ma alla fine di forte connotazione drammatica di Müller, una musica dalle straordinarie screziature psicologiche e poetiche, nella quale voce e pianoforte dialogano da pari a pari

Se l’anno prossimo, come ci auguriamo, la Società del Quartetto completerà la proposta concertistica dedicata alle grandi raccolte dei Lieder di Schubert, avrà realizzato uno straordinario trittico che non è affatto comune ascoltare dal vivo, nonostante si parli di capolavori assoluti. Dopo la serata dedicata l’anno scorso a Winterreise (Viaggio d’inverno) e quella recentissima con Die Schöne Müllerin (La bella mugnaia), manca soltanto Schwanengesang (Canto del cigno) per completare l’affascinante incursione in un genere fondamentale della musica tedesca, specialmente dell’Ottocento, e insieme nell’arte di un compositore che nei Lieder ha trovato il mezzo più immediato e consonante per esprimere il suo pensiero musicale ed esistenziale.

Die Schöne Müllerin è del 1823 e precede quindi di quattro anni la Winterreise, composta da Schubert un anno prima della sua precocissima morte. La sua leggerezza – così contrastante con la cupa atmosfera della raccolta successiva, in cui la morte è figura metaforica e realtà inesorabile – è tuttavia ingannevole, un dispositivo drammatico di contrasto, si potrebbe dire. Come di contrasto rispetto ai sentimenti del protagonista della “vicenda” è la lieta cornice agreste: un ruscello, un mulino, una natura amica in cui si muovono persone apparentemente semplici, emergono trame sentimentali chiare. Nei versi di Wilhelm Müller si annida la tragedia, l’incapacità di sopportare la delusione amorosa che conduce il protagonista a rinunciare alla vita, a fare del ruscello la propria tomba, e raramente la musica ha “dipinto” il dolore dell’esistenza con l’immediatezza ingenua eppure lancinante che Schubert dispiega in questi venti Lieder.

Il pianoforte e la voce si muovono su coordinate di pariteticità espressiva che rendono del tutto inadeguato il termine “accompagnamento”, per descrivere la parte della tastiera. E basti pensare al protagonismo di quest’ultima nel Lied conclusivo della raccolta, la straziante eppure dolcissima “Ninnananna del ruscello”, fino agli ultimi accordi, che si spengono lentamente mentre già la parola tace definitivamente.

Musica altissima nella sua profondità, cui corrisponde del resto una scrittura vocale che riesce sempre ad uscire dalle strettoie della struttura metrica, per disegnare una “narrazione” multiforme. La gamma psicologica così delineata, dalla speranza alla disillusione, dalla gioia al dolore, dalla tenerezza alla gelosia, richiede un interprete di assoluta sensibilità, capace di far combaciare la musicalità che sta dentro alle parole con quella che da esse promana e definisce il clima espressivo e poetico. Il baritono Matthias Goerne è quel tipo di interprete e già lo aveva abbondantemente dimostrato al cospetto della Winterreise, un anno fa. La sua lettura della Schöne Müllerin si muove sempre dentro al recinto di una linea di canto introspettiva, misurata anche dinamicamente, con rare accentuazioni di maggiore impatto. Eppure la gamma delle sfumature è davvero ampia, grazie al controllo del colore, al canto sul fiato e spesso a fior di labbra, all’uso sapiente anche di una sorta di “falsettone” che si fa comunque apprezzare per limpidezza e ricchezza timbrica. È un canto interiorizzato eppure capace di comunicare tutto il suo senso poetico e psicologico, anche negli spazi molto grandi della sala maggiore al Comunale. Nonostante la comprensione diretta del testo sia probabilmente di pochi e le luci in sala non siano sufficienti per un agevole lettura delle poesie, giustamente pubblicate sul programma in originale e in traduzione. E viene da pensare che l’utilizzo dei cosiddetti sovratitoli proiettati su uno schermo sopra la scena, oggi comune per l’opera, aiuterebbe moltissimo anche i Lieder.

Nella serata schubertiana al Quartetto – lungamente applaudita dal pubblico – decisivo l’apporto del pianista Alexander Schmalcz, che ha dimostrato di avere tocco, colore, fraseggio del tutto appropriati: pregevoli sul piano stilistico, impeccabili per efficacia espressiva. Dissoltasi l’ultima nota e mentre già scrosciavano gli applausi, pianista e cantante si sono abbracciati. Un bel gesto di spontanea “complicità” musicale, dopo un’esecuzione di altissimo livello, come forse accadeva durante le serate a casa di Schubert, nella Vienna di primo Ottocento, ma che è raro vedere nelle sale da concerto di oggi.

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