Concerti

Mun, il colore e la poesia di Chopin

La ventunenne pianista coreana, recente vincitrice al concorso di Ginevra e al Busoni, ha debuttato a Vicenza con l'orchestra del Teatro Olimpico e una seducente esecuzione del secondo Concerto del compositore polacco. Sul podio l'energia acerba del trentasettenne venezuelano Dietrich Paredes, impegnato anche nella terza Sinfonia di Schumann e nell'Ouverture "Le Ebridi" di Mendelssohn

Per una sera, il futuro della musica si è fatto sentire, o almeno intuire, a Vicenza. Si parla di esecutori, non di compositori. E si dice di un concerto di estremo interesse, il quarto della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Che in questa occasione ha visto la formazione allargare la sua dimensione giovanile anche al direttore e al solista. La bacchetta era quella di Dietrich Paredes, trentasettenne che proviene da quella formidabile incubatrice di talenti che è il cosiddetto “Sistema” venezuelano, la cui punte di diamante è Gustavo Dudamel. Il solista era la pianista coreana Chloe Mun, 21 anni compiuti non da molto (è nata nel dicembre 1995), fenomeno del pianoforte che è balzata alla ribalta internazionale per avere vinto sia il concorso di Ginevra (2014) che il Busoni di Bolzano (2015), due dei più importanti al mondo. La doppietta, a quanto pare, era riuscita soltanto a Martha Argerich. Che però all’epoca aveva solo 16 anni e aveva vinto i due premi nel giro di poche settimane, durante il 1957. Il che non vuol dire che l’exploit di Mun non sia eccezionale, soprattutto considerando quante cose sono cambiate in sessant’anni anche nell’interpretazione pianistica.

Il programma era super classico, non dal punto di vista stilistico ma nel senso che, pur essendo interamente volto ad autori dell’Ottocento, aveva il marchio del grande repertorio. E anche la sua costruzione era quella più tradizionale: un brano sinfonico breve (l’Ouverture Le Ebridi di Felix Mendelssohn) e un Concerto nella prima parte. Una grande Sinfonia nella seconda. Peccato che il Concerto, per quanto “importante”, fosse il meno bello di Chopin, il suo secondo (che in realtà fu composto per primo); e la Sinfonia, la Terza di Schumann (ultima in ordine di tempo), la cosiddetta Renana, che fra le quattro di quest’autore non è la più interessante, anche se contiene molti spunti di grande suggestione, il principale dei quali è il severo Corale che precede il Finale.

Dei due giovani saliti alla ribalta del Comunale a fianco dei ragazzi della OTO, il più acerbo è sembrato – a dispetto dell’anagrafe – il direttore, Dietrich Paredes. La sua lettura è dettagliata ma non particolarmente approfondita, come se volesse evitare, almeno per ora, scelte interpretative decise. Il risultato è un suono brillante ma senza particolare eloquenza, una notevole attenzione all’articolazione delle parti senza che ci sia un senso coinvolgente dell’insieme, pagando talvolta lo scotto dell’acustica del teatro vicentino, che tende a “separare” le sezioni più di quanto sia necessario, anche per un’esecuzione analitica e bene stagliata, e a rendere non facile l’omogeneità e la fluidità. Questo non toglie che il gesto di Paredes sia vigoroso ed efficace, capace di delineare piani dinamici di buona sottigliezza pur all’interno di un fraseggio che non si è fatto notare per dettagli rivelatori ma più che altro per la vivace, buona energia dell’approccio. E la OTO gli ha risposto con puntualità a partecipazione.

Chloe Mun, invece, a dispetto del look un po’ ingenuo e insolito per una ventenne (si è presentata con un abito lungo e ricco di color rosa confetto, più da bambola che da solista rampante nel panorama concertistico internazionale) è interprete che aggancia immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore con l’equilibrio, tutt’altro che abituale oggi fra le nuove leve, di virtuosismo e pensiero interpretativo. Il tocco è straordinariamente fluido e preciso, il suono talvolta dà l’idea di essere fin troppo essenziale, ma la gamma dei colori è comunque convincente e proporzionata secondo l’impianto generale. Nel secondo Concerto di Chopin, Mun ha superato di slancio, con felice capacità di non perdere mai di vista l’intenzione espressiva, gli scogli virtuosistici disseminati nel primo e nell’ultimo movimento da un ventenne Chopin desideroso di fare vetrina della sue personali capacità di pianista. E nel culmine lirico della composizione, il movimento lento centrale, Larghetto, ha condotto il fraseggio nei territori di un’introspezione ricca di sensibilità e altrettanto folta di sfumature, trasalimenti, accensioni emotive. Una notevole ricerca della poesia che si fa suono, insomma, nel solco della migliore tradizione interpretativa, per uno Chopin che non viene abbandonato solo alla dolcezza dell’invenzione melodica esaltata nei “rubato”, ma conosce una profondità di analisi che va oltre la maniera, sia pure elegantissima. Ed è stato chiaro che nei prossimi anni il percorso di Chloe Mun sarà tutta da seguire

Pubblico avvinto e alla fine instancabile negli applausi e nelle chiamate, fino al bis nel nome del Liebeslied di Schumann rivisitato per il solo pianoforte da Franz Liszt.

Foto © Angelo Nicoletti

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