Cronache

Verona contro la sua Fondazione

Presentato fra i consensi delle istituzioni economiche il progetto "privatistico" di Lambertini-Maccagnani-Manni: in realtà è a base pubblica, con soci fondatori il Comune, la Regione e la Camera di Commercio. Si punta a realizzare solamente un festival di alto livello a partire dal 2018, ma è già tardi per la programmazione. E si "cancella" il Filarmonico, cuore dell'attività odierna finanziata dallo Stato

Chiamiamolo, per comodità, Arena Festival. La grande idea del trio Lambertini-Maccagnani-Manni, scodellata ufficialmente dopo circa un anno di gestazione e di furenti polemiche, è molto semplicemente un festival. Com’era chiaro fin dall’inizio. Un evento pensato per riempire con qualche spettacolo lirico le serate lasciate vuote dall’ormai inarrestabile rassegna rock-pop, che si è di fatto impadronita delle estati nell’anfiteatro romano di Verona.

I suddetti signori vedono un “declino irreversibile” della Fondazione Lirica Arena, il commissario straordinario Carlo Fuortes è servito e la platea della Verona imprenditoriale e istituzionale economica applaude. Fra i più convinti, tre dei cinque componenti dell’ultimo consiglio di indirizzo prima del commissariamento, che trovano nel progetto la conferma alla loro linea, volta a chiudere baracca e burattini fin dallo scorso mese di aprile. Assai più prudente il sindaco Flavio Tosi, che pure a suo tempo era stato l’ispiratore dell’opzione più drastica, secondo il quale serve una serie di valutazioni di fattibilità sul piano giuridico e istituzionale.

Di privatistico nell’idea del trio c’è molto poco, praticamente solo la teorica possibilità di accesso alla compagine societaria di qualsiasi privato soggetto intenzionato a fare un investimento in cultura. Il nocciolo duro dei fondatori invece è un clone di quello della Fondazione: Comune, Regione, Camera di Commercio. Per dire del clima, il presidente di quest’ultima, Giuseppe Riello, si è detto entusiasta di contribuire raschiando qualcosa dal fondo del barile di fondi sempre più esigui, perché è stanco e gli rode parecchio dare quattrini alla Fondazione Arena “solo per tappare buchi del bilancio”.

Insomma, la Verona che conta dichiara guerra alla Fondazione Arena, eppure sulla sua deleteria gestione negli ultimi anni non una parola si leva. Ma poi, realizzato il meritorio manifestato intento di saldare i debiti, che cosa dovrebbe accadere? La Fondazione tornerebbe operativa o chiuderebbe, mandando a casa i suoi 280 dipendenti? Questo non è stato detto ma si può intuire: chiusura del Filarmonico, Verona culturalmente derelitta per nove mesi all’anno, avanti con il festival, cui solo tocca tenere in piedi la ricca torta dell’indotto assicurato dal popolo della lirica. Che non è vero che sta diminuendo in generale, diminuisce solo a Verona, per effetto della gestione di cui sopra.

L’inesattezza di certe argomentazioni lascia sconcertati: si perderanno i soldi del FUS, che lo Stato versa alla Fondazione nella misura di circa 12 milioni all’anno? Pazienza, si proverà a ottenere i finanziamenti per i teatri di tradizione. Ma un festival non è un teatro di tradizione. Nell’ultima ripartizione del Fus, i festival sono ovviamente previsti, ma con quote molto minori di quelle destinate alla lirica delle Fondazioni. Dopo 35 anni, tanto per dire, il festival rossiniano di Pesaro, uno dei più importanti e autorevoli al mondo, ottiene dallo Stato un milione o poco più. Quando ci arriverebbe, ammesso che ci arrivi, l’Arena Festival?

Teatro di tradizione potrebbe essere il Filarmonico, su cui invece è stata posta una pietra tombale con un’argomentazione che lascia senza parole: “Offre spettacoli a meno del costo di una pizza”. Questo, bontà loro, è “un bene dal punto di vista sociale, ma un male dal punto di vista economico”. Del punto di vista culturale, funzione di quello sociale, nessuno dice niente?

Questi signori sono convinti di poter partire nel 2018 con spettacoli di grande prestigio e di grandi nomi. Nessuno sembra avere la minima idea di come siano le agende dei grandi direttori, dei cantanti importanti, dei registi di grido. Si parla di programmazione a lunghissimo termine, anni e anni già occupati. Quale miracolo dovrebbe avvenire perché fra diciotto mesi convergano su Verona per fare grande il primo Arena Festival? Forse pensano che ci penserà il braccio operativo della rassegna, cioè la Fiera di Verona Spa. Trovatona. Il presidente si è già detto disponibile. Evidentemente si sente con le spalle coperte perché è stata la Fondazione Cariverona ad avere la pensata. Un altro baraccone-baracchino organizzativo, o forse solo la necessità di dare contenuti a una Fiera che su altri versanti – quelli suoi tipici – si sente accerchiata e in difficoltà dopo essere rimasta fuori dalla partita delle fusioni.

Nessuna considerazione sulla complessità della situazione generale, come se Verona fosse un’isola e non parte di un sistema invischiato in una crisi reale e globale, atteso da una temuta riforma radicale, ora forse in sospeso a causa della congiuntura politica. Il risanamento della Fondazione Arena è condizionato dall’ingresso sotto l’ombrello finanziario della Legge Bray, ancora non compiuto definitivamente, ma per i promotori di Arena Festival è già fallito. Nessuno in Italia, dove numerose sono le Fondazioni in difficoltà anche più gravi di quella dell’Arena, ha avuto una pensata come quella partorita a Verona. Va bene fare le avanguardie dell’innovazione, ma le fughe in avanti sono anche un rischio. Specialmente se nessuno ti segue. Un confronto con chi è sulla stessa barca, no?

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