Concerti

Eclettismo con qualità e la OTO vola

Il concerto natalizio dell'orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza mostra l'alto livello raggiunto dalla formazione giovanile diretta da Alexander Lonquich, fra le rare Sinfonie di C. Ph. E. Bach e il Mozart della "Haffner" K. 385. Il pianista tedesco brillante e raffinato nel Concerto di Schumann

Gli incroci della storia servono anche a capire meglio da quale parte stia la genialità e da quale la pura e semplice maestria artigianale, sia pure raffinata. Talvolta questi incroci possono essere sorprendenti. Per esempio, il cosiddetto “Bach di Amburgo”, il terzogenito del sommo Johann Sebastian, era in piena attività nello stesso periodo in cui un giovane salisburghese stava facendosi conoscere ben oltre i confini della sua città natale o del capoluogo dell’Impero, Vienna. Questo accadeva fra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Settecento. Carl Philipp Emanuel Bach doppiava il capo dei sessant’anni (era nato nel 1714), mentre Wolfgang Amadeus Mozart scollinava i suoi venti, essendo venuto al mondo nel 1756. Una carriera che finiva e una che cominciava, modi di fare musica radicalmente diversi, così lontani da sembrare incongrui, quando invece erano la normalità di un’epoca permetteva agli stili e al gusto di sovrapporsi, di stratificarsi, anche di intersecarsi.

Ad Amburgo, nel 1775-76, le Sinfonie a 12 parti obbligate di C. Ph. E. con importante apporto anche di strumenti a fiato, sicuramente soddisfacevano il pubblico. Sono in tre movimenti, quello lento al centro, come nei Concerti di primo Settecento. Palesano un gusto marcato per la sorpresa sonora (arresti, cambi di tonalità…) e non mancano certo di inventiva e di buoni spunti melodici. Sono pezzi ormai lontani dal Barocco, apparentabili al cosiddetto “stile galante”. Eleganti, fuori moda per la loro epoca. Tutt’altra atmosfera si respira nella Sinfonia che W.A. mette insieme nel 1783 a partite da una Serenata che aveva scritto l’anno prima per un ricco commerciante della sua città, di nome Haffner. Così s’intitola anche la Sinfonia K. 385, fremente di inventiva nei suoi quattro movimenti, con un poetico e denso Andante e due movimenti veloci, all’inizio e alla fine, che lavorano con spigliata efficacia sulla nuova dimensione formale messa a fuoco dal Classicismo: chiarezza di confronti tematici, sviluppi, modulazioni, riassunto prima della conclusione. Un discorso ben sagomato, nel quale assume ruolo strutturale e non semplicemente decorativo anche il dialogo fra le varie famiglie strumentali.

La non comune giustapposizione di queste musiche così vicine (cronologicamente) e così lontane era l’elemento sofisticato del concerto natalizio dell’Orchestra del Teatro Olimpico diretta da Alexander Lonquich, al teatro Comunale di Vicenza con il sostegno della Fondazione Cariverona (che l’aveva promosso la sera prima anche a Belluno). Di C. Ph. E. Bach sono state proposte due Sinfonie, in Fa e in Sol maggiore. Con vezzo musicale “trasgressivo” rispetto alla filologia, Lonquich si è seduto al pianoforte per la parte cembalistica, delineando un’interpretazione attenta, bene stagliata coloristicamente, agile nei tempi. Subito dopo, la Sinfonia K. 385 ha portato il pubblico che affollava la sala grande in tutt’altra dimensione sonora, mettendo in evidenza come la OTO stia costantemente crescendo non solo nella coesione e nella rifinitura del suono, ma anche nella duttilità esecutiva che poi è presupposto primario per scelte di stile soddisfacenti. Il gesto nervoso di Lonquich ha così delineato un Mozart scattante, dai forti contrasti chiaroscurali, nitido però nella levigatezza dei temi e della loro elaborazione.

La seconda parte della serata aveva come culmine uno dei pezzi forti del repertorio per pianoforte e orchestra, il Concerto di Schumann. Ma poiché Lonquich non è musicista che si accontenti del repertorio, ecco anche una rara pagina sinfonica dello stesso Schumann, l’Ouverture Hermann und Dorothea, singolare brano che ha nel tema della Marsigliese uno dei motivi portanti. Non abusivamente, del resto, dato che il pezzo è ispirato a un poema di Goethe dallo stesso titolo, nel quale la figura femminile è quella di una fuggiasca che trova l’amore mentre fugge incalzata dalle truppe francesi lungo il Reno sul finire del Settecento. Il confronto fra i due brani è impietoso: frammentario e divagante quello sinfonico tanto quanto il Concerto è una gemma di concentrata e intensa poesia, nobilitata dal miracoloso equilibrio fra strumento solista e orchestra ed esaltata da una parte per la tastiera di spumeggiante virtuosismo. Lonquich se n’è fatto interprete con una lucidità straordinaria e affascinante ricchezza di fraseggio dentro alla rapidità eloquente del tocco e alla potenza delle ottave che s’inseguono lungo la partitura. I giovani della OTO lo hanno seguito con precisione, forza ben misurata nel suono, accattivante qualità strumentale nel far emergere la ricchezza melodica che attraversa l’intero Concerto.

Alla fine, applausi entusiastici ripetute chiamate e doppio bis solistico di Lonquich, sempre nel nome di Schumann, dai Pezzi fantastici op. 12.

Foto © Angelo Nicoletti

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