Concerti

Rana, un futuro per le “Goldberg”

Per l'inaugurazione di stagione del Quartetto di Vicenza la giovane pianista pugliese ha affrontato la sfida del capolavoro di Bach. La sua interpretazione è un "work in progress" ancora un po' acerbo, con qualche freddezza ma anche con notevoli intuizioni espressive e decisa personalità

Beatrice Rana compirà 24 anni nel prossimo gennaio. A questa età, molti suoi colleghi sono ancora in cerca di se stessi, ma lei è già lanciata in una promettente quanto fittissima attività internazionale, fa incetta di premi e riconoscimenti di qua e di là dell’oceano. La critica italiana l’ha incoronata pianista dell’anno nella scorsa primavera. Ha un carattere deciso, che si rispecchia anche in scelte musicali e interpretative nette e totali, ardue per quanto motivate. Ed evidentemente ama le sfide. Lei che nel 2013 ha travolto la giuria del concorso Van Cliburn in Texas (dove si è aggiudicata il secondo posto) con le sue frementi e profonde interpretazioni dei romantici, ma che non ha mai smesso di rivendicare una naturale familiarità con il sommo Bach, ha messo in programma le Variazioni Goldberg, enigmatica “summa” di scienza, filosofia e arte. E con questo bagaglio, quanto meno ingombrante, ha iniziato un tour che la porterà in giro per il mondo. A Parigi ci è già stata, pochi giorni fa; in Italia le tappe sono state finora poche o pochissime: una se l’è aggiudicata la Società del Quartetto di Vicenza, che in questo modo ha inaugurato come meglio non si poteva la sua stagione. Attirando al teatro Comunale la folla non proprio delle grandi occasioni (l’esaurito non c’era), ma delle serate di assoluto richiamo.

Beatrice Rana dice di non avere né voluto né cercato modelli, in questa sua rischiosa impresa musicale. E la si può capire, se si pensa che le Goldberg, per qualche arcano motivo (tutto, intorno a questa musica, finisce per avere l’aura dell’inspiegabilità) sono diventate negli ultimi sessant’anni una sorta di totem al quale nessun grande pianista ha potuto evitare di accostarsi, specialmente nell’ambito discografico. Tuttavia, per quanto desiderosa di prendere le distanze da ogni possibile confronto, la giovanissima pianista sicuramente non ignora un dato meramente cronologico. Proprio sessant’anni fa, infatti, nel 1956, uscì a New York il disco che avrebbe cambiato la storia delle Goldberg e della loro ricezione nella modernità. E che avrebbe rivelato al mondo il genio sregolato di un pianista unico, di nome Glenn Gould. Quel pianista aveva allora 23 anni, come lei. Un anniversario e una coincidenza: non saranno studiati, ma la suggestione è più che giustificata.

Che poi, solo il passare degli anni dirà se le Goldberg di Rana siano una nuova partenza nella storia dell’interpretazione di questo capolavoro. L’ascolto vicentino non ha dato l’impressione di una sensazionale rivelazione, ed è semmai apparso piuttosto evidente che questa talentuosissima interprete sta offrendo al pubblico il risultato del proprio “work in progress”: c’è molto di acerbo, di non del tutto rifinito concettualmente, ma ci sono anche straordinarie intuizioni e varie scelte che per essere personali non sono tuttavia meno affascinanti, prova di come l’analisi stilistica sia improntata a un’autonomia netta, perfino tagliente.

Si tratta di un’interpretazione che scandaglia le ragioni musicali pure e quelle “scientifiche” (corrispondenze formali, simbolismi, numerologia, teologia, cosmologia, arte retorica: chi più ne ha più ne mette, da due secoli a questa parte) con una libertà espressiva che punta all’accentuazione dei contrasti. La celebre Aria, con cui si apre e si chiude il sipario di questa formidabile rappresentazione astratta, è condotta con dinamiche e tempi evanescenti, rarefatti, di quasi esitante e per questo a suo modo drammatica introspezione. Le variazioni che si rifanno a ritmi di danza sono condotte con elegante stilizzazione e piani timbrici che evocano quelli forzatamente schematici dello strumento a cui questa musica è originariamente destinata, il clavicembalo a due tastiere. Brillantissime oltre che travolgenti per rapidità le variazioni-arabesco, quelle che scatenano un gusto toccatistico, quasi improvvisativo, fra trilli, volate di scale, incroci delle mani. Di meditabonda e astratta purezza, anche nel colore e nel rigore del tocco, le variazioni-Canone.

In generale l’esecuzione procede nella prima metà, fino alla Variazione 15, con un taglio analitico piuttosto freddo, anche se ben dettagliato. Dall’Ouverture in stile francese in poi (Variazione 16) si entra in un clima espressivo che insegue le insondabili profondità soggettive profuse da Bach in questa sua musica oggettiva al quadrato. Ogni variazione si incastona nell’altra, quasi senza soluzione di continuità e anzi con la studiata intenzione di fare apparire che ciascuna scaturisca dalla precedente, rampollando da essa prima quasi recitata sottovoce, poi sempre più sicura di sé nel gioco dei ritornelli e degli abbellimenti. Un originale effetto quasi “rappresentativo”, anche se la potente circolarità di questa musica e le sue corrispondenze emotive rimangono un po’ in secondo piano.

Il pubblico pur nelle vaste dimensioni della sala grande del Comunale ha dimostrato di essere dentro al meccanismo, mantenendo alta l’attenzione per tutti i 75 minuti del “percorso” musicale. Alla fine molti applausi, nessun bis.

Foto: Angelo Nicoletti

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