Concerti

Schumann sinfonista, la riscoperta

Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala protagonisti al Settembre dell'Accademia Filarmonica di Verona di una vibrante, rivelatoria esecuzione della Seconda. Nel programma tutto dedicato all'autore tedesco anche la densa Ouverture "Manfred" e il celebre Concerto per pianoforte. Il solista, Daniil Trifonov, ne ha proposto una lettura introspettiva e sentimentale, di misurata esuberanza drammatica

La Filarmonica della Scala è una presenza costante nel Settembre dell’Accademia. Di recente, prima del trionfale concerto di cui è stata protagonista giovedì, la formazione milanese era stata applaudita a Verona per tre edizioni consecutive del festival, dal 2010 al 2012, con direttori di esperienza e di storia molto diverse fra loro come Semion Bychkov, Daniel Barenboim, il giovane Andrea Battistoni. Riccardo Chailly, invece, è una presenza eccezionale. Prima dell’altra sera, infatti, era salito sul podio al Filarmonico solo un’altra volta: era il 1993, lui aveva 40 anni e si era presentato con l’orchestra della quale era allora il direttore principale, quella del Concertgebouw di Amsterdam. Molta acqua è passata da allora sotto i ponti della musica e della carriera di Chailly. Dopo l’esperienza al Gewandhaus di Lipsia, è ritornato a Milano (dove peraltro a lungo aveva guidato l’Orchestra Verdi) per succedere a Daniel Barenboim come direttore principale della Scala e della sua Filarmonica. Del teatro milanese sarà il direttore musicale dal 2017 al 2022, periodo durante il quale avrà anche la responsabilità dell’orchestra del Festival di Lucerna.

Per il suo secondo debutto veronese, Chailly si è presentato con un denso e coinvolgente programma monografico: un tuffo nel Romanticismo tedesco, una serata interamente dedicata a Robert Schumann. A lungo gli storici hanno considerato i lavori sinfonici di questo compositore non all’altezza della sua altissima creatività nel mondo intimo e poetico del pianoforte. Se il Concerto op. 54, che campeggiava al centro della serata, è un “greatest hit” di indiscussa popolarità, che rappresenta un possibile anello di congiunzione fra i due generi, quello solistico e quello orchestrale, il resto del programma del concerto di Verona ha chiarito senza ombra di dubbio che anche nel sinfonismo puro Schumann è da considerare compositore centrale nell’esperienza romantica.

In apertura c’era l’Ouverture delle musiche di scena per Manfred di Byron, pagina di straordinaria densità evocativa, che si confronta con plastica efficacia sonora con uno dei “luoghi” letterari più oscuri e inquietanti del Romanticismo, il poema del poeta inglese nel quale la pulsione di morte è il “filo rosso” di una vicenda di forte connotazione esoterica e misteriosa. In conclusione, la Seconda Sinfonia – fuor di ogni dubbio il capolavoro schumanniano in questo genere – ha provato quanto l’intermittente aspirazione al rigore formale del compositore trovi qui un momento di eccezionale lucidità. Lo dicono la monumentalità dell’architettura complessiva, la disciplina delle linee contrappuntistiche, che intarsiano arcaicamente e preziosamente soprattutto il terzo movimento, “Adagio espressivo”, l’efficacia delle invenzioni melodiche (che fanno ricorso anche all’austerità della tradizione dei Corali luterani), la preziosità della strumentazione, che diventa struttura espressiva grazie a una rivisitazione finalmente proficua dell’eredità beethoveniana.

Questo ribollente materiale musicale è stato plasmato da Chailly con profondità e immediatezza del tutto convincenti. Il suo gesto rotondo e teatrale, di classica evidenza, ha guidato la Filarmonica della Scala a delineare uno Schumann di forti tensioni nei contrasti dinamici, con chiaroscuri spesso drammatici, di grande energia nella scelta dei tempi e nell’articolazione del fraseggio. Convincente la naturalezza della tinta – sempre molto mobile, anche se nell’insieme giustamente improntata alle sfumature scure. La Filarmonica si è proposta con la duttile efficacia tipica delle orchestre di alto livello, risultando equilibrata nell’insieme ma sempre capace di dettagli rivelatori in ciascuna sezione. Notevole la compattezza degli archi: se in Manfred si era notata qualche ruvidità, la Seconda Sinfonia è stata sbalzata con magnifica qualità strumentale, mettendo in mostra un ammirevole gioco coloristico soprattutto fra violini e archi bassi. Ne è uscita un’interpretazione capace di far dialogare l’energia e il lirismo, con una qualità di suono di grande forza comunicativa.

Il Concerto op. 54 ha visto debuttare al Filarmonico il venticinquenne pianista Daniil Trifonov, astro nascente del concertismo internazionale. Sulla base di una tecnica straordinariamente fluida e precisa, il ragazzo russo ha delineato di questa celebre pagina di Schumann una lettura di profonda introspezione, tutta giocata su un colore perlaceo ed elegante, su dinamiche sfumate, mai spinte verso la perorazione neanche laddove la tradizione esecutiva molto ha concesso a una certa drammaticità impulsiva e fremente. Trifonov vede il Concerto in chiave di sentimentale rapsodia, Chailly non rinuncia a una  lettura più incisiva e marcata, appena possibile sinfonicamente connotata. Il dialogo fra strumento solista e orchestra è parso quindi a tratti animato da una singolare diversità delle intenzioni espressive: un confronto impari eppure capace di creare una dialettica drammatica a suo modo intrigante, non fosse che per la continua mobilità nelle scelte di tempo nell’alternanza  fra pianoforte e orchestra

Teatro gremito, vivacissimi consensi per tutti i protagonisti della serata. Trifonov ha proposto come bis un rarefatto “Racconto fatato” di Nikolai Medtner, autore russo (espatriato in Inghilterra) della prima metà del Novecento. Chailly e la Filarmonica un esuberante pezzo di impronta jazzistica di Carlo Boccadoro, cinquantatreenne compositore marchigiano.

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