Concerti

Il suono dell’800 si addice alla OTO

Chiusura di stagione al Comunale di Vicenza per l'Orchestra del Teatro Olimpico diretta da Alexander Lonquich: dall'Ouverture "Egmont" di Beethoven al primo Concerto per pianoforte di Brahms, passando per la Sinfonia "Italiana" di Mendelssohn. Andrea Lucchesini raffinato solista alla tastiera

Pilastri del grande repertorio sinfonico, per il concerto di chiusura della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Un modo anche questo di affermare la serietà del lavoro condotto con i giovani selezionati per vivere una “avventura musicale di gruppo” che è durata da autunno a primavera, lungo l’arco di sei concerti talvolta replicati anche in altre sedi, fuori da Vicenza. E naturalmente una sfida esecutiva: l’Ouverture Egmont di Beethoven, la Sinfonia Italiana di Mendelssohn e il primo Concerto per pianoforte di Brahms sono pagine complesse quanto sono celebri, tali da richiedere non solo omogeneità e fluidità , ma anche una “tipicità” di suono che è caratteristica interpretativa fondamentale.

Parliamo del suono “eroico” di Beethoven, che in una pagina perfetta come l’Ouverture Egmont sintetizza nell’arco di una decina di minuti o poco più l’intensità espressiva e l’emozionalità che altrove, in celebri pagine sinfoniche (pensiamo alla Terza e alla Quinta, specialmente), si distendono in un’articolazione formale molto più ampia. Oppure del suono “solare” della Sinfonia Italiana, capolavoro giovanile di Mendelssohn nel quale non sai se ammirare di più l’eleganza della forma, la freschezza dell’invenzione melodica, la lucidità coinvolgente degli sviluppi, la leggerezza della tinta e del ritmo. O infine del suono pensoso, drammatico, ricco di sfumature del Concerto brahmsiano, a sua volta “sinfonia mancata”, che percorre un itinerario verso la chiarezza accattivante del conclusivo “Allegro non troppo” partendo dalla cupa tempesta del “Maestoso” iniziale e dalla più distesa poesia dell’Adagio che funge da movimento centrale e quasi da “antidoto” per i tormenti iniziali.

A proposito di Mendelssohn, tutt’altro che usuale è stata la scelta del direttore Alexander Lonquich, maestro stabile della formazione olimpica, di proporre la versione “rielaborata” dell’Italiana, che lo stesso musicista realizzò un anno dopo la trionfale prima esecuzione, avvenuta a Londra nel 1833. Rispetto alla versione abituale (e primigenia), quella modificata svela contemporaneamente ambizioni e incertezze del compositore venticinquenne: evidente l’intenzione di intervenire sull’immediatezza “ingenua” della prima versione, di renderla un po’ più sofisticata armonicamente e melodicamente. L’effetto, almeno così ci pare, finisce però per attenuare la vivacità di questo capolavoro di musica “soggettiva”, che non è tanto una descrizione musicale dell’Italia, quanto la sintesi delle sensazioni del giovane musicista in occasione del suo “Italienische Reise”. La volontà di inserire “a freddo” in partitura – un anno dopo la prima stesura – più dottrina e più elaborazione, ottiene come risultato quello di perdere alcune qualità senza davvero aggiungerne altre.

Ciò non toglie che la OTO si sia espressa con l’elegante nitidezza indispensabile a questa musica, con notevole risalto per i fiati (solo le trombe, a volte, sono risultate un po’ imprecise) e adeguata nitidezza e precisione nelle trine affidate agli archi acuti. Effetto della direzione sempre analitica eppure mai arida di Lonquich, che sceglie tempi efficacemente propulsivi, dinamiche ben stagliate, fraseggio elegante e mai superficiale. Qualcosa di analogo, tenuto conto della diversa temperie espressiva, era avvenuto anche nell’Ouverture da Egmont, nella quale l’essenzialità dello strumentale (organico classicista, in tutto e per tutto) non è stata di impedimento allo slancio di un’esecuzione adeguatamente febbrile e coinvolgente.

Come solista nel Concerto di Brahms c’era Andrea Lucchesini, che oltre ad essere un pianista sensibile e profondo è anche il direttore artistico della Scuola musicale di Fiesole, in seno alla quale opera l’Orchestra Giovanile Italiana, protagonista di un recente “gemellaggio” proprio con la OTO. La sua interpretazione di questa pagina corrusca e complessa è parsa in equilibrio fra solidità di suono nella perorazione drammatica ed eleganza quasi elegiaca di fraseggio nel secondo e in parte del terzo movimento. Esecuzione in crescendo anche di efficacia nel rapporto fra solista e insieme orchestrale, culminata in un ultimo movimento di concentrata ricchezza espressiva.

Teatro Comunale al completo e grandi applausi con bis da parte di Lucchesini sempre nel segno di Brahms: la chiaroscurale eppure serena malinconia dell’Intermezzo op. 118 numero 2.

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