Nel racconto più celebre di Nikolaj Gogol, grande scrittore russo dell’Ottocento, il naso abbandona all’improvviso la faccia di un piccolo burocrate e con sua crescente quanto tragicomica umiliazione comincia a vivere una vita autonoma, in un crescendo grottesco che disegna una satira tagliente e spietata della società zarista fra ignobile arrivismo e meschina futilità. Quando tutto per il protagonista sembra perduto, il naso torna inaspettatamente al suo posto e si ritorna all’ordine. È questo il soggetto scelto da Dmitrij Šostakovič nella seconda metà degli anni Venti per il suo debutto operistico. Il naso, in scena per la prima volta a Leningrado nel gennaio del 1930 è un esempio ancora oggi affascinante di modernismo musicale e teatrale, un vivacissimo assemblaggio di linguaggi comunicativi sonori e visivi che riflette la vivacità delle avanguardie russe prima che calasse la mannaia del conformismo formalista e “popolare”.
La partitura, influenzata dalla dottrina del celebre regista dell’epoca Vsevolod Mejerchold sulla rivisitazione degli autori classici, si definisce come una “Sinfonia teatrale” nella quale le forme tradizionali dell’opera romantica lasciano il posto a una struttura che va oltre anche l’eredità wagneriana per affermare un eclettismo incessante e spiazzante, coinvolgente e talvolta travolgente. Il linguaggio è stratificato, complesso: si passa dal contrappunto classico al melodismo della musica di consumo, dal rigore tematico alla libertà ritmica e coloristica del jazz e al patrimonio popolare russo, profano e religioso. Il non ampio gruppo strumentale cui Šostakovič affida la sua creazione è anch’esso anti-tradizionale: ridotti al minimo gli archi, ben presenti ma con scrittura lontana da quella della tradizione i fiati (spesso in tessiture anomale), sono dominanti le percussioni che comprendono tamburo, castagnette, tom-tom, rattle, piatti, grancassa, gong, campane tubolari, glockenspiel, xilofono e danno all’intera opera la sua tinta inconfondibile e caratteristica. Votata alla realizzazione più immediata ed efficace del grottesco e del paradossale, infine, è la scrittura per le voci, che vengono non di rado quasi deformate sia per l’ampiezza della tessitura che per la necessità di una linea di canto che passa dal parlato al declamato e all’arioso, non di rado insistendo anche sui valori fonetici impliciti delle parole, giocando sull’effetto dell’allitterazione.

Anomalo anche nella sua caratteristica di teatro da camera che può però presentare – nella successione delle scene “montate” quasi secondo tecnica cinematografica – anche un affollamento di personaggi fuori dal comune (le parti, per quanto talvolta ridotte, sono in effetti alcune decine), Il naso presenta problemi rappresentativi e musicali di soluzione tutt’altro che facile. Le problematiche dell’opera sono apparse risolte positivamente nell’edizione andata in scena al Teatro Sociale di Trento, dove ha chiuso la rinnovata stagione lirica della Fondazione Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, intitolata “Opera 20.21” e dedicata quest’anno dal direttore artistico Matthias Lošek al tema dell’ironia lungo un arco di tempo compreso fra il Classicismo e la contemporaneità. L’allestimento applaudito alla prima era una coproduzione con la Neue Oper Wien, il centro artistico Müpa Budapest e il Cafè Budapest ed era firmato da Matthias Oldag. Lo spettacolo – inserito nella scenografia essenziale di Frank Fellmann, autore anche dei costumi – ha lo spirito, il ritmo e il contesto d’immagine (da spoglio atelier creativo contemporaneo) di una sorta di installazione artistico-musicale nella quale è dominante il tema del grottesco, che sfocia verso il surreale o l’assurdo (importanti in questo i costumi, dello stesso Fellmann). La folta schiera degli interpreti si muove non solo sulla scena ma anche sulla pedana alle spalle dell’orchestra, sconfinando spesso e volentieri in platea, accompagnata da luci sciabolanti e aggressive. I tempi rappresentativi si modellano su quelli della partitura con adesione energica e coinvolgente.
Equilibrata la compagnia, formata da cantanti dotati di grande disinvoltura come attori. Fra tutti, da citare Marco Di Sapia nel ruolo del protagonista, Pablo Cameselle in quello del commissario di polizia, Lorin Wey nei panni del servo Ivan, Georg Klimbacher in quelli del mellifluo dottore. Non sempre a suo agio nella parte spesso falsettistica del Naso, vocalmente molto spinta, è sembrato Alexander Kaimbacher, mentre se la sono cavata con tagliente espressività Tamara Gallo, Ethel Merhaut e Megan Kahts e con nitido equilibrio il Wiener Kammerchor. Walter Kobéra ha diretto con analitica lucidità gli ottimi strumentisti dell’orchestra Haydn di Bolzano e Trento, delineando bene la geniale spigolosità di questa musica.