Cronache

Arena, il commissario anti-sfascio

Il ministro della cultura spiazza il sindaco Tosi che voleva la liquidazione della Fondazione, nominando un commissario di alto profilo professionale, il sovrintendente dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes. Sciolto il consiglio d'indirizzo, a casa il sovrintendente Girondini. Due mesi e mezzo per raggiungere l'accordo con i dipendenti (ora più possibile) e rientrare sotto l'ombrello della legge Bray per ristrutturare il debito. Attenzione e sforzi sul festival estivo al via nel prossimo giugno

Per provare a salvare l’opera in Arena, antica e gloriosa tradizione culturale italiana ed europea, l’unica soluzione era toglierla di mano alla città che l’aveva creata. Il decreto del ministro della cultura Dario Franceschini, che il 15 aprile ha mandato tutti a casa e nominato commissario straordinario Carlo Fuortes, certifica questo fallimento: nel giro di appena nove mesi, dal luglio 2015, la disastrosa gestione della gravissima crisi economica e artistica della Fondazione ha dimostrato che Verona non è attualmente in grado di condurre questa sua istituzione.

Bocciato il sovrintendente-assente Francesco Girondini, i cui interventi durante le tappe della disfatta si possono contare sulle dita di una mano. Il suo canto del cigno è di pochi giorni fa, quando nell’indifferenza generale ha trovato il coraggio di dichiarare che era opportuno riprendere le trattive con i dipendenti. Peccato che il suo presidente e sindaco, Flavio Tosi, si fosse già assicurato un posto nella storia come l’unico ad avere mai chiesto con lettera ufficiale al ministro che la Fondazione lirico-sinfonica della sua città venisse cancellata. Bocciati i cinque di un Consiglio d’indirizzo dal quale non risulta sia mai emersa una voce che almeno portasse avanti il principio di buon senso e provasse a salvaguardare le prerogative culturali di base, come antidoto per l’irresponsabile decisionismo guerrafondaio del “chiudo tutto”. Invitato a farsi da parte il sindaco Tosi, e di fatto anch’egli bocciato, nel metodo e nelle prospettive culturali (si fa per dire). Da lui, finora, solo silenzio, dopo che aveva parlato, anzi tuonato, praticamente tutti i giorni. Muovendosi fra proclami e diktat come se la Fondazione fosse “cosa sua”.  Bocciata la totale assenza, in questo management, di qualcuno che oltre a fare di conto avesse anche le necessarie competenze sul “core business” dell’azienda che doveva amministrare: la produzione di concerti, balletti, spettacoli operistici. Con poche eccezioni, la situazione è così almeno dal 2008, cioè da quando è iniziata l’era Tosi-Girondini: un sindaco che considera l’opera un fastidio rispetto agli usi possibili dell’anfiteatro romano della sua città; un sovrintendente “imprestato” a questo mondo senza competenza specifica.

In questo, la scelta di Franceschini assume il carattere di un vero e proprio schiaffo: se non riuscite ad esprimere competenze, eccole qua. Carlo Fuortes arriva in riva all’Adige con l’etichetta non soltanto di supermanager culturale, ma anche di addetto ai lavori per antonomasia: uno che ha insegnato all’università “Sistemi organizzativi dello spettacolo dal vivo”, che è stato per 12 anni amministratore delegato del Parco della Musica di Roma, che ha portato in salvo l’Opera della Capitale, della quale è sovrintendente dalla fine del 2013. In due anni, ristrutturazione di un debito enorme (oltre 60 milioni) in virtù dell’adesione alla legge Bray, conti in equilibrio dopo gestioni sbilanciate anche di 10 milioni all’anno. E soprattutto, esponenziale crescita della qualità, della produttività, del pubblico.

Il commissario è sulla cresta dell’onda, e si gioca a Verona una bella fetta di credibilità. Oltre a conoscere le leggi e ad essere uomo di teatro, è portato in palmo di mano dal governo (che a sua volta dimostra, inviandolo all’Arena, di considerare l’anfiteatro un tassello importante dell’immagine italiana, non solo culturale). Prima dell’Opera di Roma, ha avuto un’esperienza commissariale a Bari, con luci e ombre, visto che c’è chi parla di una situazione economica tutt’altro che consolidata, alla sua partenza. Sa muoversi con decisionismo, ma conosce bene certe felpate strategie politiche. Le adoperò quando a Roma qualcuno chiedeva l’azione di responsabilità contro i precedenti amministratori dell’Opera. Non c’è mai stata, ed è facile prevedere che neppure qui ci sarà, anche se la legge glielo consentirebbe. Arriva in una situazione sindacale relativamente favorevole: uscito di scena Girondini, relegato fra le quinte Tosi, trova la strada dell’accordo con i dipendenti molto meno impervia. Bisognerà vedere quanto vorrà studiare a fondo i bilanci della Fondazione, con tutte le loro anomalie (in primis, Arena Extra, ma anche le valorizzazioni patrimoniali, il Museo dell’Opera…). Potrebbe decidere di limitarsi a dare un assetto meno precario ai conti, ottenendo le facilitazione della legge Bray per il debito grazie ai tagli nel costo del lavoro (che ci saranno, eccome) e lasciando al sovrintendente che verrà (primavera 2017?) il compito di ridefinire tutto.

Sarebbe importante che mettesse grande energia, oltre alle sue competenze, nella realizzazione del festival estivo in Arena, ormai alle porte. Un colpo d’ala artistico-progettuale potrebbe avere conseguenze decisive sul futuro. Salvare la stagione (non andare sotto i 400 mila spettatori sarebbe già un bel risultato, per dire) faciliterebbe molto il risanamento sostanziale, che difficilmente può essere fra gli scopi di Fuortes nel giro di qualche mese. Ma che dev’essere l’obiettivo di chi verrà dopo di lui. Sperando che nel frattempo Verona raccolga le forze per trovare – dentro o fuori – gli uomini giusti.

 

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