Concerti

Una vocazione beethoveniana

Un grande progetto culturale: dopo le integrali delle Sonate per violino e per violoncello e pianoforte, la vicentina Società del Quartetto sta proponendo ora tutte le 32 Sonate pianistiche e tutti i Trii con pianoforte del genio di Bonn. Zadra, Lama e Guarino interpreti di alto livello

Non è che Beethoven rappresenti da solo tutto il “canone” della grande musica occidentale, anzi. Ma non si può negare che per molti aspetti sia il più conosciuto autore della cosiddetta classica e soprattutto il simbolo mai davvero passato di moda della concezione dell’arte come sfida eroica dell’uomo, capace di fronteggiare e sconfiggere almeno una volta il suo destino. E dunque appare una scelta culturale densa di implicazioni perfino pedagogiche quella della Società del Quartetto, che da anni va privilegiando l’esecuzione della musica di Beethoven non solo in virtù della sua presenza nei programmi dei singoli concerti, ma con veri e propri percorsi monografici, specialmente nell’ambito che più è connaturato all’attività del sodalizio vicentino, quello cameristico. L’idea è in fondo quella che sovrintende a qualsiasi buona biblioteca: vi si può trovare l’antico e il recente, l’alto e il basso, ma i grandi autori non devono mancare mai, e anzi nulla di loro dev’essere trascurato, tutto dev’essere a disposizione della curiosità e dell’interesse dei frequentatori.

Così accade al Quartetto. E se Vicenza è oggi una capitale della musica nel Veneto, almeno per quanto riguarda la proposta concertistica (record di abbonati), sicuramente questo discende anche dalla perseveranza e coerenza con cui Piergiorgio Meneghini va costruendo, ormai da un quarantennio a questa parte (prima con gli Amici della Musica), gli itinerari concertistici da offrire al pubblico.
Per quanto riguarda Beethoven, il campo è quello dell’alta cultura, come postula la dimensione di questo musicista. E allora assume l’aspetto di una scelta fondamentale quello che sta accadendo negli ultimi anni: pescando nella memoria, fra le esecuzioni integrali all’interno del catalogo beethoveniano sono già state archiviate quella delle Sonate per violino e pianoforte (Domenico Nordio-Semion Balschem) e quella delle composizioni per violoncello e pianoforte, Variazioni e Sonate (Enrico Bronzi-Filippo Gamba).

Attualmente, sono in corso altre due imprese di formidabile spessore culturale. Una riguarda il grandioso corpus delle 32 Sonate per pianoforte, affidate al talento di quello che è attualmente forse il più beethoveniano dei pianisti italiani, Filippo Gamba: un concerto a stagione, proiezione cronologica molto ampia, ma non è detto che in futuro il ritmo non possa accelerare. L’altra è quella che riguarda i trii per violino, violoncello e pianoforte, protagonisti Filippo Lama, Stefano Guarino e Riccardo Zadra, sulla scena Hèsperos Piano Trio. Il “viaggio” è iniziato nel gennaio scorso; a distanza di 12 mesi quasi esatti, poche sere fa, la seconda tappa. Per essere un sabato appena fuori dalle vacanze di Natale, il Comunale segnava presenza di pubblico adeguata. E anche questo è un notevole traguardo: il sabato sera di Vicenza non è detto sia solo in qualche improbabile movida o in qualche ristorante alla moda. Molti, oggi, scelgono di non rinunciare alla “loro” musica.

Il concerto era basato sugli estremi beethoveniani di questo genere molto particolare: la prima composizione che in assoluto il ragazzotto di Bonn emigrato a Vienna ritenne degna di essere mandata alle stampe, nel 1793 (op. 1 n. 1, lui aveva 23 anni) e l’ultima, quando correva l’anno 1811 (op. 97). Allora, Beethoven era il riconosciuto genio musicale della nazione tedesca, l’uomo che aveva composto l’Eroica e la Quinta, cinque Concerti e decine di Sonate per pianoforte, numerosi straordinari Quartetti per archi. A differenza di questi ultimi, luogo privilegiato della dottrina musicale, il Trio con pianoforte era genere “minore”, non fosse che per la sua caratura “mondana”, più comunicativa e adatta a esecuzioni “in società”, nei palazzi nobiliari o nei salotti borghesi. Eppure, già a 23 anni Beethoven sapeva come far “passare” vivamente anche in questo genere disimpegnato la sua novità: il Trio op. 1 n. 1 è un piccolo capolavoro di singolare maturità, che al netto dei richiami haydniani o mozartiani afferma soprattutto la personalità già prorompente del suo autore. E il Trio op. 97, universalmente noto come “Arciduca”, perché dedicato a Rodolfo d’Asburgo, dimostra dove sarebbe andato a pescare Schubert, di lì a pochi anni, con la sua celebrata coppia di Trii: le parti sono tutte magistralmente esaltate in ruolo quasi concertante, all’interno di un’architettura formale di grande ampiezza, e secondo un’atmosfera espressiva duttile, pensosa, interiorizzata eppure eloquentissima.

Il Trio Hèsperos è sembrato particolarmente a suo agio nel primo Trio, reso con magnifica lucidità stilistica, eleganza di colori e sottigliezza di fraseggio; l’ideale per rivelare la “diversità” beethoveniana all’interno del contesto del Classicismo. Matura e approfondita anche l’intepretazione del Trio Arciduca, specialmente da parte del violoncello di Guarino, semprecomunicativo nel colore e nelle dinamiche; Lama e Zadra si sono proposti con sicura intelligenza musicale e buona sintonia cameristica, non senza qualche intermittenza nella qualità del suono e nell’efficacia del tocco.

Grandi applausi e ripetute chiamante, bis “a Est” fra il russo Skrjabin e il boemo Suk.

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