Cronache

Apre la Scala, il giornalismo abdica

La "Giovanna d'Arco" inaugurale preparata fra crescenti tensioni che opponevano direttore e registi Finita la prima, una clamorosa piazzata con insulti nel backstage è finita su Internet ma non nelle cronache dell'evento, quasi tutte all'insegna del conformismo e della condiscendenza. Si è ripetuto dunque il cliché di Sant'Ambrogio, con tanti saluti all'informazione precisa e senza timori reverenziali

Ora viene fuori che durante le prove della Giovanna d’Arco, l’opera di Verdi che ha inaugurato la stagione della Scala, c’era stato un crescendo di tensione fra il direttore Riccardo Chailly e la coppia di registi Moshe Leiser e Patrice Caurier. Culminato in una piazzata con insulti nel retropalco subito dopo la conclusione della prima rappresentazione. Se i giornalisti (uno stuolo) mandati a seguire passo passo la gestazione e la nascita del grande evento avessero fatto il loro mestiere, se ne sarebbero accorti già prima della fatidica notte di Sant’Ambrogio. Non se ne sono accorti, o se lo sapevano hanno minimizzato, sottovalutato, trascurato: cose che sono sempre capitate nei teatri… Del resto, si sa, il sempiterno balletto della (presunta) informazione intorno all’inaugurazione della Scala, anno dopo anno prevede che niente sia meno che eccezionale, straordinario, grandioso e meraviglioso. Prima, durante e dopo.

Prima, questa volta, sono stati necessari salti mortali ed equilibrismi senza rete per far passare la Giovanna d’Arco, opera negletta nata durante i cosiddetti “anni di galera” (1845), come un capolavoro misconosciuto che solo per la cecità culturale di tutti quelli che si sono succeduti al comando della Scala, negli ultimi 150 anni mai era stata rappresentata.

Durante, si sono scatenate le solite legioni di intervistatori-commentatori radiotelevisivi: ossequiosi, conformisti, toni flautati e mondani, sussiego da maggiordomo per cui il soprano Anna Netrebko in altro modo non si poteva nominare se non – deferentemente – “la signora Netrebko”.

Dopo, si è passati dalla ridicola pagella del Corriere della Sera (voto minimo, 7 politico, ad onta delle felpate e circospette puntualizzazioni non proprio tutte positive dell’incaricato della critica) alle cronache trionfalistiche celebranti gli 11 minuti di applausi finali. E pochi hanno notato un grafico pubblicato su Repubblica.it (per vederlo, cliccare qui) che dimostra come negli ultimi vent’anni questo minutaggio collochi l’accoglienza ben sotto le migliori dieci, verso il tredicesimo posto su venti inaugurazioni.

Ma soprattutto, dopo è stata l’evidenza della documentazione multimediale a fornire inoppugnabile dimostrazione di quanto lo spettacolo fosse nato in mezzo a profondi contrasti fra direttore e registi. Paradossalmente (ma che amaro paradosso, per chi ancora crede al mestiere del giornalista!) è stata la diretta streaming proposta dalla stessa Scala (sul sito stesso del teatro e su You Tube) a scoprire gli altarini, ben prima che la vicenda finisse fra i titoli d’apertura dei Tg.

A opera conclusa, su inquadratura fissa del backstage (per il video, cliccare qui) si vede un gruppo di persone assistere sbigottite a una scenetta che è fuori campo ma che si sente benissimo. A parlare è il co-regista Moshe Leiser, ed è rivolto ovviamente a Chailly. “Really congratulations, maestro”, dice dapprima; ma pochissimi secondi dopo eccolo abbaiare un insulto: “Asshole”. E tanto perché tutti capiscano, subito si premura anche di aggiungere la traduzione in italiano (una delle possibili dell’epiteto): “Stronzo di merda!”, a voce sempre altissima e con una sonora e vibrante “r”. Chailly non sembra proferire parola, non si sa nulla delle sue reazioni, dei suoi gesti. Resta da capire come Leiser dalle concilianti congratulazioni sia passato in un attimo agli insulti.

Su Repubblica.it un pezzo ricostruisce la vicenda e almeno rivela come e perché si sia arrivati agli insulti. Il video si trova naturalmente anche su Corriere.it (sono clic da non perdere…), con una didascalia che è il trionfo del condizionale. L’edizione cartacea del 9 dicembre resta in un universo parallelo nel quale l’informazione completa e precisa non è contemplata: la deferente intervista a tutta pagina al direttore Chailly è un soffiettone nel quale dei contrasti non si parla se non con vaghissime allusioni (“è complicato far coincidere le intenzioni del direttore musicale con quelle di chi cura la messa in scena”, dice a un certo punto il maestro), si promuove anche lo spettacolo, non c’è traccia né di racconto né tantomeno di spiegazione da parte di uno dei diretti interessati sugli insulti volati nel backstage.

A margine e per concludere, qualche parere da parte di chi scrive, basato beninteso solo sulla visione della diretta televisiva. 1) Giovanna d’Arco è opera così irrisolta e acerba che sarebbe meglio lasciarla agli archivi, perché Verdi ha già abbastanza detrattori lo stesso. Comunque è titolo problematico per un’inaugurazione, che notoriamente non è il momento più “colto” della stagione. A meno che l’obiettivo non sia la dimostrazione della geometrica potenza con cui l’informazione e la critica, salvo poche eccezioni, vengono messe in riga; 2) lo spettacolo è mediocre, talvolta francamente brutto, interpretativamente a senso unico e neanche sempre coerente con la linea scelta, che poi sarebbe quella di vedere la Pulzella come un caso di isteria di origine sessuale (sai che novità); 3) i divi vocali scritturati all’uopo, Francesco Meli e Anna Netrebko, e il direttore Chailly hanno fatto il loro dovere. Ma non è certo alle prese con una partitura del genere che possono far valere fino in fondo la loro bravura.

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