Concerti

È da camera, ma non ha confini

Il pianista Alexander Lonquich, la violinista Vilde Frang, il violista James Boyd e il violoncellista Nicolas Altstaedt hanno portato al teatro Comunale di Vicenza (per il Quartetto) l'esperienza musicale del festival austriaco di Lockenhaus. In programma Dvorák, Richard Strauss e Veress, per bis Brahms

Lockenhaus è un puntino sulla carta dell’Austria orientale, a metà strada fra Vienna e Graz, a pochi chilometri dal confine con l’Ungheria (di cui ha fatto parte per quasi un millennio, fino a dopo la prima guerra mondiale). Cuore della Mitteleuropa. È anche una delle non infrequenti “enclave” della musica da camera, che nel Vecchio Continente si sono moltiplicate seguendo – fra ovvie differenze e specificità – una linea comune almeno nel metodo: quella di costituirsi intorno a un grande nome del concertismo internazionale, capace di “creare sistema” attirando anche in luoghi tutt’altro che a portata di mano colleghi illustri e allievi promettenti. Tutti insieme a ricreare il senso stesso della musica da camera, così come si è sviluppata fra palazzi, corti e case borghesi a partire dal XVIII secolo.

Il nume tutelare di Lockenhaus era Gidon Kremer, ma da qualche anno il violinista lettone ha passato la mano alla nuova generazione e ora il festival che si tiene in estate dal 1981 è diretto dal giovane violoncellista Nicolas Altstaedt. Fra le nuove iniziative, appare molto positiva quella di allargare il cerchio, “esportando” nel mondo dei concerti “normali” la filosofia e le esperienze coltivate nel minuscolo centro austriaco. Lavoro in divenire, è naturale: un concerto che va sotto il titolo “Lockenhaus on tour” è probabilmente abbastanza misterioso per un pubblico non ultra-specialistico in Italia. Questo può spiegare il fatto che al teatro Comunale di Vicenza, dove una serata-Lockenhaus si è tenuta nell’ambito della stagione del Quartetto, il pubblico sia stato meno numeroso del solito. E pensare che fra i protagonisti spiccava il nome di Alexander Lonquich, che a Vicenza è conosciuto e apprezzato da decenni, tanto più ora, che è il direttore musicale dell’Orchestra del Teatro Olimpico.

Lonquich era il “vecchio” (si fa per dire: è nato nel 1960) di una formazione per il resto ben più giovane, anagraficamente a distanza di una generazione dal pianista, composta dalla a violinista norvegese non ancora trentenne Vilde Frang, dal citato violoncellista tedesco Altstaedt e dal violista inglese James Boyd.

Programma molto interessante, sostanzioso e – non c’era dubbio – interamente mitteleuropeo. I due estremi della serata erano infatti dedicati all’ultima fase del Romanticismo, mentre al centro campeggiava un lavoro scritto 60 anni fa dall’ungherese naturalizzato svizzero Sándor Veress. In apertura, c’era il Trio per pianoforte e archi op. 65 di Dvorák, un autore che non rinunciò mai alla sua dimensione “periferica”, maneggiando con grande abilità la lingua musicale comune del secondo Ottocento tedesco ma arricchendola con i sapori della sua terra, sia sul piano melodico che su quello ritmico. A chiudere, il giovanile Quartetto con pianoforte di un Richard Strauss poco più che ventenne (1885), devoto omaggio all’arte di Brahms in grado di svelare peraltro appieno l’originalità e la forza di un compositore che ben presto avrebbe affermato il suo primato specialmente nel campo del Poema sinfonico e del teatro musicale. E la ricchezza del dialogo fra la tastiera e i tre archi chiarisce come Strauss avesse il grande organico nel suo destino creativo per la suggestione di tanti passaggi concertanti o di aspirazione addirittura sinfonica, come nello scherzo e nel Finale. Giustamente, poi, i quattro di Lockenhaus hanno proposto proprio una pagina brahmsiana come bis, l’elegante e intenso Andante con moto – Animato dal Quartetto op. 25 n. 1.

Al centro della serata, invece, di scena le atmosfere “moderniste” di un autore poco noto come Veress, che però è una figura centrale della musica mitteleuropea del Novecento, allievo come fu di Bartók e Kodály a Budapest e successivamente maestro di elementi di punta dell’avanguardia come Ligeti, Kurtág, Holliger. Il suo Trio per archi pur nell’asprezza di un linguaggio senza tradizionali riferimenti armonici ha una ricchezza espressiva e una vivacità ritmica e anche melodica di grande fascino, che Frang, Boyd e Alstaedt hanno esaltato con grande ricchezza e duttilità di fraseggio unita alla sicura e fervida sintonia cameristica. Qualità che sono parse evidenti anche nella parte romantica della serata, cui ha apportato il valore della sua intelligenza interpretativa un Lonquich impeccabile nel raccordare e approfondire il valore del dialogo e l’abbondanza dei dettagli nel gioco fra le parti. Il tocco quasi camaleontico del pianista di Treviri ha segnato la strada di interpretazioni di profonda e convincente elaborazione stilistica, anche se il suono freddo di Vilde Frang, pur supportato da una tecnica di straordinaria facilità e incisività, ha talvolta gettato il velo di una riflessione un po’ cerebrale e asettica, del resto equilibrata dal suono caldo e ricco di Nicolas Altstaedt, un violoncellista di notevole forza comunicativa.

E anche questo è il fascino della musica da camera: contano eccome le qualità e le caratteristiche dei singoli, ma conta altrettanto e forse anche di più l’interazione che essi sanno creare l’uno con l’altro. E quella di questi giovani talenti targati Lockenhaus è sicuramente rivelatrice.

Successo, dunque, meritatamente vivissimo.

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