Opera

Rossini in napoletano, risate inedite

Al Rof di Pesaro torna "La Gazzetta", per la prima volta completata con un Quintetto ritrovato solo di recente. Regia essenziale ma divertente di Marco Carniti. Compagnia di canto di alto livello con Nicola Alaimo mattatore

In questi anni di spending review dilagante anche sui palcoscenici operistici, con la sfida di risorse sempre più vicine al “minimo vitale”, c’è un qualità registica particolarmente apprezzata da sovrintendenti e direttori artistici. È quella di chi – per naturale inclinazione o per adattamento alla necessità dei tempi – riesce a “fare spettacolo” con poco o nulla, rinunciando a costosi impianti scenografici o ad avanzati dispositivi tecnologici (sempre a rischio di compromettere il budget), ma non alla fantasia, all’invenzione tanto più rivelatrice quanto più essenziale, costruita sui “fondamentali” del teatro musicale – canto, gesto, movimento, spazio e racconto – del resto validi sempre e da sempre.

Alla categoria appartiene a buon diritto Marco Carniti, che è stato chiamato per la prima volta al Rossini Opera Festival per firmare la regia dell’unico nuovo allestimento di questa edizione, La Gazzetta. Si tratta di un’opera singolare, una commedia creata per il pubblico di Napoli (teatro dei Fiorentini, 1816) e dunque caratterizzata da un personaggio, il “buffo” intorno a cui ruota tutta la vicenda, che parla in napoletano stretto. E poco conta che lo spunto letterario sia una commedia, peraltro minore, di Goldoni, intitolata Il matrimonio per concorso; o che la bizzarra vicenda (un padre che vuole trovare marito alla figlia tramite annuncio su un giornale) si svolga a Parigi. Il dato fondamentale è che non si tratta di un lavoro dei più riusciti di Rossini, il che spiega come sia uscito quasi subito dai sensibili radar del repertorio, recuperato alle scene in edizione critica solo grazie all’interazione fra musicologia e teatro vivo che caratterizza da sempre il Rof (la prima volta era accaduto nel 2001, regista Dario Fo).

Stretta fra due grandi capolavori comici come Il barbiere di Siviglia e la Cenerentola e nata in un periodo di lavoro incessante anche sul versante serio, La Gazzetta riesce infatti “zoppa” per un libretto (Giuseppe Palomba) di totale vuotaggine drammaturgica, che non va oltre a qualche situazione più o meno farsesca. E musicalmente è una delle opere che più si presenta densa di auto-imprestiti, pezzi che Rossini utilizzava, non senza accorta riscrittura, prelevandoli da altri suoi lavori. Fra questi, non a caso, il riferimento più evidente è al Barbiere, il cui celebre Finale Primo risuona, ridisegnato come Quintetto, nella Gazzetta; il pezzo era mancante (è stato fa ritrovato solo qualche anno fa) e il suo inserimento ha fatto di questa esecuzione la prima davvero completa in tempi moderni.

La “napoletanità” è dominante e infatti Carniti la accentua dando grande evidenza a un ruolo muto, quello di un servo del protagonista, nel libretto citato di sfuggita e in questo spettacolo mimo onnipresente e abile, molto caratterizzante per definire l’atmosfera partenopea (l’applauditissimo Ernesto Lama). Per il resto, il regista lavora su uno spazio scenico vuoto (Manuela Gasperoni), delimitato da tendaggi bianchi incessantemente colorati dalle luci in stile quasi pop (Fabio Rossi), quando non utilizzati per evocativi giochi di ombre. Un praticabile che si scompone in vari pezzi, sedie e tavolini, manifesti o grandi lettere che calano dall’alto completano l’essenziale cornice di una commedia giocata su un ritmo frenetico ma sempre sotto controllo e sulla vivacità espressiva di ogni interprete, in un insieme di sorridente fatuità, sottolineato dai costumi in bilico fra il grottesco e il caricaturale (li firma Maria Filippi).

Come nella tradizione del Rof, compagnia di canto di alto livello. Protagonista e mattatore il basso Nicola Alaimo, disinvolto nel napoletano, scenicamente assai gustoso, vocalmente con un bel timbro scuro e un fraseggio mobile ed espressivo. Bene anche il tenore russo Maxim Mironov e il soprano armeno Hasmik Torosyan: entrambi giovani, conoscono e praticano lo stile della coloratura rossiniana con l’agilità e il peso necessari a rendere il virtuosismo un elemento interpretativo e non solo una decorazione. Interessante anche il baritono Vito Priante e le altre voci femminili, i due mezzosoprani Raffaella Lupinacci e Josè Maria Lo Monaco. Dal podio, Enrique Mazzola ha realizzato un’esecuzione particolarmente estroversa e brillante, con tempi svelti e grande nitore timbrico, facendo emergere l’ottima disposizione dell’orchestra del Teatro Comunale di Bologna.

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