Opera

“Così fan tutte” nel nome di Serafin

Al Teatro Olimpico, per il festival Vicenza In Lirica, i vincitori del concorso intitolato al grande direttore d'orchestra hanno dato prova di una buona disposizione vocale e musicale. Positiva la direzione di Marco Comin, rispettosa e insieme indifferente alla cornice palladiana la "mise en éspace" firmata da Cesare Scarton

Il festival di Salisburgo ha dato il segnale. Se qualcuno ancora pensa – fra idealismo e rigore filologico – che almeno alcuni autori, i più grandi, e alcuni titoli, i più celebri, debbano restareesenti da tagli (in realtà pratica d’uso nelle rappresentazioni teatrali di qualsiasi genere da che mondo è mondo), si sbaglia. Durante l’estate appena trascorsa, per dire, ha fatto molto discutere l’allestimento delle Nozze di Figaro alla Haus für Mozart: in larga parte a causa della regia di Martin Kušej, nel genere innovativo-dissacrante, ma anche perché la partitura del capolavoro mozartiano è stata sottoposta a tagli consistenti nei recitativi e allo stralcio di un paio di Arie “minori”.

Qualcosa del genere è accaduto anche al Teatro Olimpico di Vicenza, dove l’undicesima edizione del festival “Vicenza in Lirica” si è conclusa con due rappresentazioni di Così fan tutte. Anche in questo caso, i recitativi sono stati ampiamente sfrondati, con l’eliminazione di alcune scene di passaggio e l’accorciamento di altre; eliminato dall’esecuzione, se non abbiamo inteso male, il Quartetto del secondo atto “La mano a me date”, che è una pagina deliziosa. Nell’insieme, la forbice è servita a scorciare lo spettacolo di una buona mezz’ora.

L’operazione è apparsa problematica non in virtù di una presunta sacralità dei due autori, ma perché si è inevitabilmente perso qualcosa della brillantezza magistrale e profonda del libretto “immorale” di Lorenzo da Ponte, probabilmente il suo maggiore capolavoro, come si è cominciato a riconoscere nel XX secolo dopo gli strali moralisti dell’Ottocento. Un testo dalle fonti culturali e letterarie sofisticate, che partono da Ovidio (il peraltro tragico mito di Cefalo e Procri) per toccare autori come Boccaccio, Ariosto, Cervantes e Molière e arrivare fino al razionalismo illuminista. Il fatto è che il sofisticato “gioco a sei” di cui consiste l’opera – due “filosofi” (Alfonso e Despina) a tirare le file dagli incroci “sconvenienti” di due coppie di innamorati – si dipana in un continuum letterario e drammaturgico che è decisivo quanto la sua veste musicale, nella quale del resto Mozart esaltacome poche altre volte il peso teatrale delle strutture a più voci in ogni soluzione formale, anche quella del dialogo recitativo. Gli ampi salti nel testo, invece, in vari punti hanno fatto sì che la rappresentazione sembrasse quasi un concerto vocale inframmezzato da parti di raccordo: in alcuni casi, la vicenda sembrava ruotare solo intorno alle Arie e ai pezzi d’insieme, riducendo al minimo il decisivo valore dei recitativi come tessuto connettivo della drammaturgia musicale.

Tale scelta ha finito per trovare evidenza anche nell’essenziale messinscena firmata da Cesare Scarton (costumi Anna Benvenuti, luci Andrea Stella). Lo spettacolo si è infatti configurato come una “mise en éspace”, allo stesso tempo rispettosa e indifferente all’aulica cornice palladiana e scamozziana in cui si svolgeva. Pochi oggetti di scena rigorosamente bianchi – qualche sedia, due lettucci tipo spiaggia, un tavolino – erano gli elementi intorno ai quali i personaggi hanno dipanato la loro storia scandalosa, tanto più singolare in quanto effetto studiato, cercato e raggiunto di una concezione “filosofica” all’insegna del cinismo più assoluto nella concezione degli umani sentimenti. Nessuna idea narrativa e/o interpretativa particolare, se non la giusta sottolineatura del fatto che i cantanti erano i giovani vincitori del concorso Tullio Serafin, quest’anno appunto dedicato a Così fan tutte. Quindi, storia “giovanilista” in abiti attuali (una semplice divisa di Marina all’occorrenza, ove necessario) e indumenti in chiave trash (come i vistosi tatuaggi in questo caso esibiti) quando i due militari si ripresentano travestiti, in teoria da nobili albanesi. Nell’insieme, il distacco ha sconfinato in una certa freddezza, in una maniera piuttosto anodina, vagamente attualizzata ma pur sempre maniera. Né ad attenuarla sono bastate le prerogative attoriali in larga parte ancora acerbe dei protagonisti.

La rappresentazione, si diceva, era il punto di arrivo di una delle iniziative più interessanti collegate al festival Vicenza in Lirica, il concorso vocale intitolato al grande direttore d’orchestra Tullio Serafin, veneto di Rottanova di Cavarzere (1878-1968). La competizione ogni anno mette in palio i ruoli dell’opera prescelta per la rappresentazione settembrina all’Olimpico: una formula semplice ma efficace, in piena e significativa sintonia con la vocazione didattica di questa rassegna, fin dall’inizio rivolta ai giovani, anche con corsi e seminari.

Ascoltati nel corso della prova generale aperta al pubblico, i vincitori del concorso hanno dimostrati tutti una interessante musicalità e una positiva inclinazione per il canto mozartiano, che in Così fan tutte si nutre di sfumature tutte da giocare sulla linea di canto. Arianna Giuffrida è stata una Fiordiligi altera e sofferta come si conviene, spaziando nell’ardua tessitura della parte (che scende anche molto in basso) con eleganza e senza forzature. Benedetta Mazzetto ha proposto una Dorabella ironica e brillante, di vocalità piena e di sottile duttilità espressiva, un po’ appannata da un certo impaccio nei movimenti scenici. Francesca Maria Cucuzza ha voce importante e corposa di soprano lirico, forse più importante di quella necessaria alla parte di Despina che tuttavia è stata tratteggiata con brillantezza consapevole e tagliente, senza le forzature e la caricatura che spesso si ascoltano, tic esecutivi solo parzialmente giustificati dal gioco dei travestimenti che caratterizzano il personaggio.

Fra gli uomini, un Alfonso forse timbricamente un po’ leggero ma risolto con buona definizione stilistica è stato Matteo Torcaso; Said Gobechiya ha reso la parte di Guglielmo con eleganza ben misurata e sofferta partecipazione quando il rischioso e cinico gioco ordito dal vecchio filosofo lo precipita nella disillusione, Haruo Kawakami è stato un Ferrando partecipe e dalla linea di canto duttile ed efficace sia nel controllo che nella ben delineata cifra espressiva. Preciso ed equilibrato, nei suoi pochi ma significativi interventi, il coro VOC’è, istruito da Alberto Spadarotto.

Sul podio dell’Orchestra dei Colli Morenici, formazione ben equilibrata e con fiati adeguati alla ricchezza concertante sciorinata da Mozart, è salito Marco Comin, che ha delineato un’esecuzione tagliente nei tempi, ben contrastata nelle dinamiche, al meglio quando dominano ironia e paradosso, forse bisognosa di una maggiore introspezione nelle pagine in cui la malinconia mozartiana afferma la sua straordinaria cifra di totalizzante visione del mondo, come nel Terzetto “Soave sia il vento” nel primo atto, o nel sublime trasognato contrappunto del Quartetto “E nel tuo, nel mio bicchiero”, all’interno del Finale ultimo.

Foto © Edoardo Scremin