Concerti

La Russia del Novecento a Berlino

Daniele Gatti sul podio nel concerto in diretta streaming dalla Philarmonie. Il neoclassicismo oggettivo e rarefatto di "Apollon Musagète" di Stravinskij (1927) a confronto con la densa Quinta Sinfonia di Šostakovič (1937), composta dopo le feroci critiche del regime stalinista all'opera "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk". Un capolavoro che solo apparentemente costituisce una sorta di "autocritica" del compositore sovietico ed esprime in realtà una potente soggettività creativa. Dal direttore milanese interpretazioni colte e di notevole sottigliezza analitica, esaltate dalla straordinaria ricchezza e duttilità di suono dei Berliner Philharmoniker

A quanto pare, il dettaglio vincente riguarda l’aria. La tecnologia in uso alla Philharmonie di Berlino permette il ricambio al 100 per cento e in tempi considerati congrui con la sicurezza sanitaria dell’aria che si respira nella meravigliosa sala progettata da Hans Scharoun sessant’anni fa. E questo, mentre il virus imperversa, tiene a bada l’insidia costituita dal cosiddetto aerosol respiratorio.

L’appassionato che si avventura nella Digital Concert Hall, che non da oggi né da ieri è un fiore all’occhiello nell’attività dei Berliner Philarmoniker, viene messo al corrente di questi particolari con una certa chiarezza e con la dovuta trasparenza (altrove non analoga): è grazie alla tecnologia della climatizzazione, oltre che per gli incessanti controlli con i tamponi, che i Berliner, sul loro palcoscenico, possono stare quasi come in tempi normali, senza mascherina e piuttosto ravvicinati. In realtà, viene spiegato, trattasi di un metro fra gli archi e di un metro e mezzo tra gli strumenti a fiato. E quando escono di scena – laddove evidentemente il ricambio dell’aria non è altrettanto prodigioso – tutti sono tenuti a indossare protezione per naso e bocca.

Resta il fatto che la Philarmonie è tuttora sbarrata al pubblico e lo sarà, come tutti i teatri berlinesi, fino al 31 marzo. Salvo aggiornamenti collegati agli sviluppi della pandemia. Il che evidentemente non ferma la programmazione dei Philharmoniker, grazie al folto calendario dei live streaming a pagamento. Non sono a disposizione biglietti virtuali per ogni singolo concerto, si acquista il libero accesso per un tempo determinato a seconda dell’importo: una settimana, un mese o un anno. Prezzi modici (a partire da € 9,90), specie considerando che per il tempo in cui si ha accesso si ha anche a disposizione un immenso archivio digitale di concerti, nonché produzioni filmate originali come la recentissima storia dei Berliner raccontata in tre parti (due sono già disponibili) dai suoi “grandi vecchi”, strumentisti in attività per decenni, a partire addirittura dai primi anni Quaranta, e oggi naturalmente a riposo. I loro ricordi e le loro testimonianze sugli anni di Furtwängler, di Celibidache e specialmente di Karajan sono contrappuntati da materiali audio-video originali e in molti casi straordinari, spesso poco conosciuti.

Daniele Gatti sul podio alla Philharmonie di Berlino nel 2017 (ph. Monika Rittershaus)

Per il suo ritorno sul podio dei Berliner, avvenuto sabato, (l’ultima volta era stata nel settembre del 2017), Daniele Gatti ha confermato nella scelta del programma la “linea” di notevole attenzione alle esperienze musicali del Novecento già adottata nel recente passato alla Philharmonie con autori come Hindemith (2017), Honegger e Dutilleux (2016), Berg (2014). Di più, si è colta anche l’intenzione di allargare e completare il discorso da un punto di vista “geografico”, se così si può dire: dopo la Germania, la Francia e l’Austria, questa volta è toccato alla Russia, con protagonisti peraltro molto diversi fra loro: l’espatriato e cosmopolita Stravinskij, da un lato; il patriota legatissimo al suo Paese e alle sue tradizioni Šostakovič dall’altro.

Sul piano musicale, i due brani scelti da Gatti, Apollon Musagète e la Quinta Sinfonia sembrano delineare una polarità antitetica, inconciliabile. Una musica altamente oggettiva contro una potentemente soggettiva. Una partitura che aspira in certo modo a restituire l’algida perfezione delle statue greche – musica al quadrato per una mitologia filtrata attraverso mediazioni culturali multiple – a fronte di una che ha una densità di calore e di profondità affascinanti. Eppure, un’arcana corrispondenza in qualche modo esiste, se è vero che i musicologi più attenti (in Italia, Franco Pulcini) hanno colto, almeno nei movimenti iniziali delle due partiture, una sorta di analogia nell’elaborazione armonica, aspirante al totale cromatico sia pure con scopi espressivi (o anti-espressivi, nel caso di Stravinskij), comunque molto diversi.

Apollon Musagète, messo a punto sul finire degli anni Venti da Stravinskij, allora attivo a Parigi ma su commissione americana, è con Oedipus Rex la partitura-simbolo del Neoclassicismo nella sua versione più radicale e dunque astratta. Musica per un balletto “in bianco” nella quale l’autore persegue una oggettività perfino straniante (e in questo consiste probabilmente la sua modernità), quasi denaturata, portata all’essenza grazie all’utilizzo di una strumentazione per soli archi. Gatti, nel ricostruire questo vero e proprio itinerario archeologico classico, non cerca scorciatoie. La sua è una lettura di “passione fredda”, plasticamente rifinita nel fraseggio, caratterizzata dall’eleganza “scultorea” che è elemento costitutivo della partitura. Gli archi dei Berliner gli rispondono con virtuosistica definizione di suono, compatti ma capaci anche di straordinarie trasparenze, impeccabili nelle sortite solistiche (per violino e violoncello), minuziosi nelle mutazioni dinamiche sollecitate dal direttore milanese.

La Quinta di Sostakovic secondo Daniele Gatti è un viaggio dentro ai turbamenti, alle angosce, alle paure ma anche alla speranza e all’orgoglio di un artista di fronte all’incombere terrificante del potere staliniano. Lungi dal ruolo un po’ banale di abiura ideologica e musicale dopo le aspre critiche ufficiali nei confronti dell’opera Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, il capolavoro (1937) viene riletto con una tensione interiore che non è finalizzata alle presunte positive esternazioni dello stentoreo Finale, ma delinea un percorso di alta eloquenza sonora dentro al rigore formale. Il dibattito sul movimento conclusivo, se sia un’ammissione di errore o un’orgogliosa sfida, resta aperto: Gatti per parte sua illumina la questione con un’interpretazione che tiene salde le grandiose coordinate strutturali ma si addentra nei particolari con autentica umanistica partecipazione, a tratti perfino commossa (nel Largo), sempre lucida, mai genericamente appassionata, spesso rivelatoria nella sua complessità. A pieno organico, rilucente negli archi e maestosa negli ottoni, piena di sottigliezze nei legni, la Filarmonica berlinese offre una prova sontuosa, creando suono monumentale senza mai rinunciare ai dettagli dei colori che Šostakovič maneggia con autentico virtuosismo.

Come usa negli streaming dal vivo berlinesi, alla fine piomba il silenzio. L’orchestra resta immobile, non applaude come avviene in Italia; il direttore non ringrazia il pubblico invisibile. L’immagine sfuma, ed è tutto. Chissà se ci ripenseranno, da qui al 31 marzo. Un po’ di messinscena, per noi forzati del video o della Tv, non sarebbe poi male…

 

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