Opera

“Bohème”, la musica della gioventù

Dopo due rappresentazioni saltate per lo sciopero dei dipendenti areniani, in scena al Filarmonico di Verona il capolavoro di Puccini, spettacolo inaugurale della stagione. L'allestimento è quello del 1996 firmato da Giuseppe Patroni Griffi: tradizionale ma capace di raccontare con immediatezza. Compagnia di canto molto giovane e interessante, con in evidenza Maria Mudryak (Mimì), Oreste Cosimo (Rodolfo) e Gianfranco Montresor (Marcello). Lucida la direzione di Francesco Ivan Ciampa

In mancanza di un intervento per disinnescarla da parte di chi ha ruolo e responsabilità per farlo, l’emergenza intorno alla più complicata inaugurazione di stagione che si ricordi al Filarmonico è stata gestita con l’impegno e la buona volontà di tutti quelli che hanno dato vita alla Bohème: in scena, dietro le quinte, nella buca dell’orchestra. Considerate le difficoltà tecnico-organizzative di ogni tipo, dopo che le due recite iniziali del calendario erano saltate per lo sciopero dei dipendenti, ormai al muro contro muro con la dirigenza della Fondazione Arena, il risultato sorride. E regala un po’ di luce a una situazione senza precedenti, inedita anche rispetto ai mesi più bui della crisi, nella primavera del 2016, fra richieste di liquidazione coatta e commissariamento.

Fra l’altro, il sipario si è alzato per la prima volta sul capolavoro di Puccini poche ore dopo l’approvazione da parte del Consiglio d’Indirizzo del bilancio preventivo 2019 e soprattutto di una programmazione di massima, molto generica, che prevede peraltro addirittura tre produzioni al Filarmonico nell’autunno dell’anno prossimo (e staremo a vedere come questi propositi verranno realizzati). Ma queste decisioni non hanno spostato di un millimetro la linea adottata dai dipendenti. Tanto è vero che la mattina dopo i rappresentanti di Cgil, Uil e Fials (gli autonomi) non si sono presentati all’incontro informativo convocato dalla Fondazione. Che si è quindi svolto alla sola presenza dei rappresentanti Cisl, sindacato peraltro minoritario che si è sfilato dalle proteste decise quasi all’unanimità in assemblea.

La Bohèmeche proseguirà le sue repliche al Filarmonico domenica 23, sabato 29 e lunedì 31 dicembre (a mo’ di veglione di fine anno) è quella del centenario, firmata a Torino nel 1996 da Giuseppe Patroni Griffi, con scene di Aldo Terlizzi Patroni Griffi, luci di Paolo Mazzon. Non indicato in locandina l’autore dei costumi, evidentemente provenienti dal magazzino areniano e secondo le voci di dentro nemmeno sufficienti per tutti, se è vero che qualche artista del coro si è portato le scarpe da casa. Del resto, a quanto pare i servizi di sartoria, calzoleria, trucco e parrucco erano tutt’altro che adeguati.

L’allestimento ha più di vent’anni ma se da un lato dimostra la sua età nell’appartenere alla maniera più tradizionale quanto a immaginario “bohemien” (una grande vetrata a chiudere la scena in alto, pochi mobili da soffitta), dall’altro si dimostra capace di comunicare con immediatezza il senso stesso della drammaturgia musicale magistralmente cesellata da Puccini, la sua intensa semplicità, i contrasti fra allegria e disperazione che ne sottendono la forza comunicativa. Di questa riuscita molto merito va a una compagnia di canto che, a prescindere dalle caratteristiche vocali, era anagraficamente del tutto coerente con l’età dei personaggi: giovani per il melodramma della gioventù innamorata dell’amore e posta di fronte alla disillusione e alla morte, capaci di stare in scena con disinvoltura, di muoversi con  efficacia, di uscire dallo stereotipo nonostante fossero in una cornice stereotipata, per trovare una certa quale “verità” di immediata teatralità.

Una regia che non interpreta ma racconta e rende omaggio a Puccini, come quella di Patroni Griffi, gioca le sue carte sulla misura, sull’eleganza e sulla consapevolezza di stile. E tutto, da questo punto di vista, era realizzato con attenzione, magari senza exploit ma anche senza cadute di gusto. Fino a non fare sembrare un semplice effetto-cartolina la fitta nevicata sulla Barriera d’Enfer nel terzo atto, ma un elemento del racconto capace di strappare l’applauso a scena aperta da parte di un pubblico desideroso di essere stupito, oltre che di commuoversi. Peccato solo che lo spettacolo sia impaginato con tre intervalli per oltre un’ora di pausa, a fronte di meno di due ore di musica: una scansione anti-drammatica che ormai non è più corrente da nessuna parte.

Sul podio c’era Francesco Ivan Ciampa, che ha privilegiato una lettura di frastagliata espressività, capace di accendere il sentimentalismo sapientemente dosato da Puccini senza trascurare la vivacità dei colori e la tensione drammatica che innervano sapientemente la partitura, sottolineando bene anche il tessuto di rimandi motivici che la animano. Concentrata e nitida la prova dell’orchestra areniana.

Nei panni di Mimì, Maria Mudryak, ventiquattrenne kazaka naturalizzata italiana, si è proposta con efficacia crescente, cedendo qualcosa nel primo quadro alla tenerezza idillica dell’incontro con Rodolfo, ma trovando nel terzo il colore, il fraseggio e l’intensità giusti per colorare a tutto tondo il versante drammatico del personaggio, poi ben sostenuto anche nel quadro finale. Il poeta di “Che gelida manina” era in questa recita (e lo sarà ancora solo nella prossima, poi lascerà la scena a Francesco Pio Galasso) il giovane tenore Oreste Cosimo, che ha voce piccola e qualche volta sovrastata dall’orchestra, ma linea di canto persuasiva e colore accattivante. Al fianco die due protagonisti principali, note molto positive per l’esuberante Marcello di Gianfranco Montresor e per lo Schaunard di Biagio Pizzuti, assai versatili nel differenziare gli accenti del canto di conversazione come Romano dal Zovo, Colline, che ha offerto però una resa piuttosto opaca della sua breve e celebre romanza al quarto quadro, “Vecchia zimarra”. Brillante in scena e nella linea di canto tutta estroversione la Musetta di Valentina Mastrangelo, che ha un colore talvolta un po’ aspro, ma lo gestisce bene nella zona acuta e trova all’ultimo quadro coinvolgenti accenti drammatici. Non sfigurano gli altri, a disegnare un cast di positivo equilibrio complessivo: dal Benoît (anche Alcindoro) di Roberto Accurso al Parpignol di Gregory Bonfatti, dal sergente di Nicolò Rigano al doganiere di Valentino Perera. Impegnato e coeso il coro areniano istruito da Vito Lombardi. I ragazzi e le ragazze del coro di voci bianche A.Li.Ve. (direttore Paolo Facincani) si sono con tutta evidenza molto divertiti ma sono parsi anche adeguatamente precisi.

Frequenti applausi a scena aperta, vivo successo alla fine.

Foto © Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

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