Concerti

“Brandeburghesi” scacciapensieri

András Schiff a Vicenza per la ventesima edizione del suo "Omaggio a Palladio", fra teatro Olimpico e basilica di San Felice. Quattro incontri applauditissimi, che solo all'ultima serata, con una sontuosa esecuzione dei celebri Concerti di Bach, hanno lasciato il contesto drammatico se non tragico di pagine come la Cantata BWV 82 del Cantor o la Sinfonia Incompiuta di Schubert, proposte negli altri appuntamenti. Nell'ambito sacro, l'esultanza del "Magnificat" a confronto con la sublime rassegnazione dell'Ave Verum di Mozart. Esecuzioni di grande smalto strumentale, assai meno significative le voci

Alla tappa del ventennale, András Schiff è sembrato desideroso di riaffermare i principi estetici a cui si era ispirato nel 1998, anno d’inizio del suo festival vicentino, “Omaggio a Palladio”. Se in tempi recenti avevano fatto la loro apparizione nei programmi anche autori come Schoenberg o Bartók, questa volta c’è stato spazio solo per tre autori della ristretta cerchia dei grandissimi, le vette della musica e della civiltà europea che sole, secondo il pianista ungherese, hanno diritto di cittadinanza nel Teatro Olimpico. Nella fattispecie, Bach, Mozart e Schubert, affiancati in tre delle quattro serate della rassegna, prima del gran finale solo bachiano con i Concerti Brandeburghesi. Il tutto si è svolto – in larga parte – con uno spirito meno sereno e sorridente del solito, riflesso non solo nella scelta dei singoli brani ma anche nella maniera in cui sono stati interpretati. E del resto, mai si era sentito Schiff confessare davanti all’Olimpico stipato di pubblico che il Canto dello spirito sulle acque di Schubert su versi di Goethe (“Simile all’acqua è l’anima dell’uomo. Viene dal cielo, risale al cielo”) è la musica che vorrebbe per i suoi funerali. Salvo poi precisare subito, con sollievo di tutti, che comunque non c’è alcuna urgenza…

La Cappella Andrea Barca diretta da András Schiff all’Olimpico

UN LUTTUOSO BACH (Concerto 1). Il primo concerto era il più singolare, quanto a programma. Se la seconda parte offriva una collana di Lieder schubertiani, incorniciata dal Canto sopracitato, proposto in apertura e ripetuto in chiusura, la prima parte delineava pensieri contrapposti oltre le differenze di stile. La Serenata per strumenti a fiato K. 375 di Mozart disegnava una cornice brillante e mondana (squisitamente realizzata dagli strumentisti della Cappella Andrea Barca), che subito si dissolveva nella luttuosa Cantata 82 di Bach, “Ich habe genug” (È quanto mi basta). Il soggetto spirituale, ma anche esistenziale, di questa pagina si può trovare riassunto nei versi dell’Aria conclusiva, che inizia così: “Gioisco della mia morte”.

DAL MAGNIFICAT ALL’AVE VERUM (Concerto 2). La seconda serata era quella tradizionalmente dedicata alla musica sacra: vi campeggiava la forza gioiosa e propositiva del Magnificat di Bach, subito ricondotta ai pensieri molto meno esultanti dell’Ave Verum di Mozart – anche se espressi con la dolcissima rassegnazione di cui quest’autore è insuperabile maestro. In chiusura, l’Offertorio Intende voci di Schubert, per tenore, coro e orchestra, pagina secondaria e di raro ascolto. Nel repertorio sacro e vocale in generale, Schiff si è dimostrato cauto ed essenziale dal punto di vista direttoriale, di sicuro non aiutato da una scelta dei solisti tutt’altro che convincente, specie per la ruvidità timbrica ed espressiva del basso Robert Holl – sul quale gravava gran parte del peso della Cantata 82 di Bach, risolta con uno stile molto personale – e per la linea di canto piuttosto generica del soprano Ruth Ziesak. Decorosi il contralto Britta Schwarz e il tenore Werner Güra, mentre è da segnalare il debutto al festival di Schiff del giovane soprano vicentino Giulia Bolcato, precisa e intensa come soprano II nel Magnificat. Decisivo in questa pagina l’apporto corale della Schola San Rocco di Francesco Erle, forse meno lucida e comunicativa di altre volte, ma stilisticamente consapevole come sempre.

TRAGICO SCHUBERT (Concerto 3). Ritornati all’Olimpico la sera successiva, il terzo concerto è stato anche l’unico in cui Schiff si sia proposto come pianista, elargendo una superba interpretazione dell’Ouverture nello stile francese BWV 831 di Bach, animata di forti e quasi “romantici” contrasti pur nella nitidezza adamantina del suono e nella vivacità del ritmo. Al centro del programma c’era la Sinfonia K. 543 di Mozart, la sua terz’ultima, ma il piatto forte era dato dalla Incompiuta di Schubert, monumentale “torso” sinfonico in due movimenti nella tonalità di Si minore, la stessa dell’Ouverture bachiana, secondo i raffinati parallelismi armonici cari al pianista ungherese. In realtà, non si potrebbe immaginare contesto espressivo più diverso, a dimostrazione che le analogie armoniche possono essere aleatorie. In questo caso, la stessa tonalità serve sia per l’estroversa e virtuosistica stilizzazione delle danze alla moda, realizzata in questa grande pagina cembalistica da Bach, sia per le drammatiche atmosfere delineate da Schubert in questo capolavoro per molti versi enigmatico.

Schiff ha le sue certezze e legge l’Incompiuta in chiave tragica e funebre, più che drammatica. Egli infatti accoglie pienamente la teoria del grande direttore Nikolaus Harnoncourt, scomparso nel marzo dell’anno scorso, secondo il quale quest’opera sarebbe un caso ante litteram di poema sinfonico, realizzato sulla base di un testo scritto dallo stesso Schubert nei mesi che precedettero la composizione, intitolato “Il mio sogno”. Sono poche righe che raccontano quello che appare essere più un incubo che un sogno: gli aspri e ripetuti contrasti con il padre (per motivi peraltro futili, sintomo di opprimente autoritarismo), la fuga di casa, la morte della madre, solitudine e lontananza dalla famiglia, incombere dell’idea della morte fino a un finale di “trasfigurazione” in cui il musicista prova la “eterna beatitudine” e si riconcilia fra le lacrime con il padre. Harnoncourt arrivava a delineare il simbolismo tematico dei soggetti. Secondo lui, tristezza, amore filiale, angoscia, apprensione, dolore e morte hanno ciascuno una “configurazione musicale”. A sua volta, il direttore austriaco faceva riferimento al lavoro di un importante musicologo tedesco, Arnold Schering (1877-1941), studioso controverso per la sua attiva adesione al nazismo. Questi fu il primo (e fra i pochi, in realtà, almeno in maniera così minuziosa) a collegare lo scritto schubertiano e i due movimenti della Sinfonia, che a questo punto non sarebbe più Incompiuta perché “racconta” esattamente quello che si legge nel testo. L’idea di morte che aleggia su questo capolavoro sarebbe collegata anche all’uso della tonalità di Si minore, che Schering definiva “nera”, e per questo quasi sempre evitata da Beethoven e usata con cautela dallo stesso Schubert.

Per fare entrare gli ascoltatori in questa atmosfera, Schiff ha fatto leggere “Il mio sogno” prima dell’esecuzione, peraltro solo in tedesco. L’esecuzione è stata conseguente: una notevole quanto tormentata intensità timbrica, fraseggio ampio, scandito, senza alcun richiamo alle radici classicistiche di Schubert ma con molti preannuncia dei tormenti espressivi tipici del Romanticismo. Molto massiccia anche la resa della Sinfonia mozartiana, che ha finito per assumere una irruenza beethoveniana non del tutto congrua con la scrittura mozartiana.

ECCELSO BACH (Concerto 4). La scorribanda fra i Concerti Brandeburghesi, giustamente definiti da Schiff “autentico simbolo del patrimonio culturale dell’Europa” ha chiuso il festival all’insegna dell’eccezionalità, in una serata finalmente libera da ogni ombra di tragicità musicale. Chi scrive ha memoria solo di un’altra integrale nella stessa serata, quella realizzata negli anni ’80 a Santa Corona da Jordi Savall alla testa del suo gruppo Hesperion XX. In quel caso, il rigore filologico era dominante (con esiti di alto livello, bisogna dire). Questa volta, come è nel suo stile, Schiff non ha inseguito logiche strumentali “antiche”, scegliendo peraltro di sedersi al cembalo e non al pianoforte per il basso continuo e la parte solistica del Quinto Concerto. La sua prima volta, ha dichiarato.

Il concerto ha visto eccellere gli strumentisti della Cappella Andrea Barca, e specialmente la brillante ed estroversa oboista Marie-Luise Modersohn, il trombettista Reinhold Friedrich, i flautisti Wolfgang Breinschmid e Wally Hase, il violista Hariolf Schlichtig, i violinisti Eric Höbart e Yuuko Shiokawa. La sontuosa tavolozza timbrica impiegata da Bach in questi straordinari Concerti si è sviluppata con una ricchezza espressiva a volte un po’ troppo sorvegliata (come nel Terzo, per soli archi), progressivamente sempre più libera e coinvolgente. La mancanza dei colori tipici degli strumenti d’epoca è stata superata grazie alla consapevolezza stilistica dell’esecuzione, che ha avuto i momenti topici nel Secondo, nel Quinto e nel Sesto, giocati su un fraseggio di stringente adesione alle soluzioni formali scelte da Bach, che fonde i principi del Concerto solistico e del Concerto Grosso, non senza concedersi, nei movimenti lenti, sapide incursioni nel mondo sonatistico. Seduto al grande clavicembalo color turchese a due manuali, fatto venire apposta da Friburgo, András Schiff ha dato eleganza al basso continuo, fulcro di un fare musica che tutti i protagonisti (formazioni variabili e spesso in parti reali o quasi) hanno realizzato con affascinante naturalezza e precisione nel rapporto fra le voci. Di speciale, il pianista ungherese ha regalato all’Olimpico la sua prima volta nella grandiosa cadenza del Quinto Concerto al cembalo, resa all’inizio quasi con timidezza, come se l’esecutore si stesse ascoltando e in certo modo giudicando; quindi cresciuta in agilità, intensità e bellezza sonora, oltre che in vivacità ritmica, fino ai tempi vorticosi che hanno preparato e sottolineato il momento del ricongiungimento del “cembalo concertato” con il “tutti”.

L’incondizionato entusiasmo del pubblico internazionale ha accompagnato tutte le serate della rassegna organizzata al meglio dalla Società del Quartetto. Particolarmente calorosi gli applausi durante e alla fine dei Brandeburghesi.

Foto © Angelo Nicoletti

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