Concerti

Quando Bach faceva il veneziano

Al Quartetto di Vicenza i Concerti per violino, autentici e ricostruiti: la prova dello straordinario influsso esercitato da Vivaldi e insieme l'evidenza di come il musicista tedesco abbia saputo andare oltre. Frank Peter Zimmermann con stile e musicalità insieme all'Accademia d'Archi di Bolzano

È un grande giallo storico-musicale: dove sono finiti i Concerti scritti da Sebastian Bach nella sua veste di direttore del Collegium Musicum, la più importante orchestra di Lipsia, che negli anni Trenta del Settecento teneva pubblici concerti settimanali (in stagione, anche bisettimanali) al popolare Caffè Zimmermann? Qualcuno si è preso la briga di calcolare che nell’arco di un decennio (tanto durò l’impegno del compositore: 1729-1739) furono proposte qualcosa come 1.200 ore di musica. Se anche solo un quarto di essa fosse stata scritta direttamente da Bach, il conto fa venire le vertigini. Trecento ore significa un migliaio di Concerti, e invece noi ne conosciamo una ventina.

È noto che storici e musicologi si scontrano spesso, a proposito del cosiddetto “Cantor”. A partire da questa qualifica, che viene esaltata e perpetuata anche se allo stesso compositore non piaceva affatto, dato che la considerava una “diminutio” rispetto al precedente incarico di maestro di cappella a Cöthen. Tanto è vero che brigò lungamente per ottenere dal principe elettore di Sassonia il titolo di “compositore di corte”, alla fine concesso. Ma questa è un’altra storia e riguarda in particolare quello stupefacente monumento della musica sacra che è la Messa in Si minore.

Sul fatto che molti Concerti siano andati perduti, però, l’accordo fra gli studiosi è praticamente universale, a prescindere dal calcolo loro numero. Il che prova quanto resti da fare per chiarire quel decennio bachiano, nella speranza che da qualche parte salti fuori qualche documento rivelatore, qualche partitura ancora sconosciuta.

Nel frattempo, dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo: due Concerti per violino, uno per due violini e una serie di Concerti per uno, due, tre clavicembali, l’invenzione più rilevante di Bach per le serate al Caffè Zimmermann, atto di nascita di quello che sarebbe diventato il più fortunato genere concertante del Classicismo e del Romanticismo, quello appunto del Concerto per pianoforte.

Il punto di partenza stilistico e formale per gli uni e per gli altri è tipicamente italiano e più specificamente vivaldiano. Bach aveva lavorato sui Concerti dell’Estro Armonico, l’op. 3 del “Prete Rosso”, e su molte altre composizioni del genere di altri autori italiani, quando ancora era in servizio a Weimar, una corte che coltivava il gusto per l’arte italiana sotto molteplici aspetti. Se già non scrisse i Concerti violinistici a quell’epoca (dopo il 1712, quando il duca Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar riportò in patria dall’Olanda le preziose partiture colà stampate, e fino al 1717), di sicuro lo fece quando si trasferì a Cöthen per il suo successivo incarico. Qui le esigenza della musica sacra erano praticamente nulle, essendo la corte di confessione calvinista, mentre era alta la richiesta di musica strumentale, da camera e orchestrale.

Nei suoi Concerti, Bach non si limita ad accogliere la struttura delineata da Vivaldi, nella cornice (tre movimenti, con quello lento al centro) e nella struttura (il “ritornello” come elemento di base sia per l’elaborazione tematica che per il rapporto fra strumento solista e orchestra), ma fa sua l’esigenza dell’immediatezza comunicativa che nasce dalla vivacità ritmica, dall’efficacia dell’invenzione melodica, anche se naturalmente la rielabora alla luce della propria sensibilità e la irrobustisce con una ricchezza polifonica che in Vivaldi è raro trovare. Questo Bach “alla veneziana”, insomma, è il migliore monumento alla genialità del “prete rosso”, perché mostra le straordinarie possibilità di sviluppo di quello schema concertante, lo irrobustisce anche a costo di rinunciare all’esuberanza virtuosistica del solista, ne dischiude le potenzialità espressive all’insegna di un rigore mai nel musicista tedesco così duttile ed efficace.

Alla Società del Quartetto, che propone una stagione ad alto tasso bachiano (le Goldberg in apertura, prossimamente la Messa in Si minore), i Concerti per violino sono stati al centro di una serata densa e coinvolgente, affidata allo Stradivari di Frank Peter Zimmerman e alla rodata omogeneità dell’Accademia d’archi di Bolzano, che festeggia il trentennale. Nella prima parte, preceduti dal terzo Brandenburghese, un Concerto per archi che pure s’ispira a Vivaldi ma disegna un arazzo contrappuntistico di assoluto virtuosismo, sono stati proposti i due Concerti per violino, in La minore (BWV 1041) e in Mi maggiore (BWV 1042). Nella seconda, spazio alle cosiddette “ricostruzioni” di Concerti ritenuti perduti, a partire da Concerti cembalistici esistenti che sono considerati una successiva trascrizione proprio da originali con violino concertante di cui non c’è traccia. In particolare, la versione per due violini di BWV 1060 è una rarità, vista che la ricostruzione più praticata è quella con violino e oboe. Chiusura con BWV 1052, del quale non possiamo fare a meno di preferire la versione con il clavicembalo. Zimmermann è bravissimo, ma non può cancellare la sensazione di una specificità di scrittura per la tastiera che il violino solista non sempre riesce a far percepire così “naturale”.

Nell’insieme, comunque, il violinista tedesco si è fatto apprezzare per l’approccio stilisticamente avvertito, in grado di creare dimensioni sonore (timbro, dinamiche, articolazione, brillantezza) che hanno restituito in pieno il sapore di questi concerti, cesellati con calligrafica eleganza nei movimenti svelti, esaltati nella sottile vena patetica che scorre lungo i meditabondi movimenti lenti. L’Accademia di Bolzano, dopo aver evidenziato un suono un po’ spoglio e secco nel terzo Brandenburghese, ovviamente eseguito in parti reali (tre violini, tre viole, tre violoncelli e basso continuo), a ranghi completi è risultata convincente per la precisone e la duttilità del suono, ben guidata da Georg Egger, che nel Concerto BWV 1060 ha sostenuto con efficace concentrazione e suggestioni coloristiche non banali il ruolo del secondo violino solista.

Teatro Comunale al gran completo, a Vicenza, e doppio bis bachiano, prima di Zimmermann da solo, poi con tutta la formazione strumentale nel poetico Andante del Concerto in La minore.

Foto © Angelo Nicoletti

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