Concerti

Oto e Lonquich, la grande intesa

Crescono i giovani dell'orchestra del Teatro Olimpico, in bella sintonia con il loro direttore stabile. Inaugurazione di stagione a Vicenza con una Settima beethoveniana di notevole energia e apprezzabile equilibrio fra le sezioni. Nel Concerto per violino di Mendelssohn la musicalità di Carolin Widmann, che per il resto della serata ha suonato come spalla. Per bis l'Ouverture dalle "Nozze di Figaro"

Un solido programma di tradizione, per l’inaugurazione della stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Uno di quelli che non regalano sorprese o novità, ma semplicemente le consolidate e rassicuranti certezze che accompagnano i grandi e popolari capolavori ottocenteschi. Semmai, il rischio quando si affrontano i caposaldi del repertorio sinfonico è quello di esporsi al confronto su musiche che tutte le orchestre frequentano, tutti i direttori interpretano e tanti appassionati conoscono in una “versione favorita”. Ma i giovani capitanati da Alexander Lonquich hanno dimostrato di non avere timori reverenziali, di tenere tecnicamente e di possedere una evidente istintiva sintonia con il loro maestro stabile: alla fine si può tranquillamente dire che la sfida l’hanno vinta.

La serata era dedicata a Beethoven e Mendelssohn: la rivoluzione dentro al Classicismo e l’aspirazione classica dentro al Romanticismo. Del primo, c’era in apertura la “titanica” Ouverture Coriolano, una di quelle pagine concentrate e frementi, scolpite dentro a al suono, che con altre consorelle (Egmont, Prometeo) rappresenta il versante sintetico ma non meno affascinante del pensiero sinfonico beethoveniano. Seguiva il Concerto per violino di Mendelssohn, “greatest hit” d’obbligo per qualsiasi solista, che innesta sulla trasparente vena melodica di quest’autore, sulla sua elegante costruzione formale concatenata (ognuno dei tre movimenti si fonde con il successivo con grande essenzialità comunicativa), una parte solistica al calor bianco del virtuosismo. C’era a sostenerla la violinista tedesca Carol Widmann, musicista sensibile ed evidentemente incline a cercare dettagli rivelatori dentro alle partiture che affronta, rifiutando la maniera per trovare una sua lettura personale. In questo caso, si è sentita talvolta la mancanza di un peso sonoro più incisivo, non dell’eleganza del fraseggio, mentre le sottigliezze dinamiche e di colore sono risultate talvolta ardue nel rapporto con l’orchestra, lanciata da Lonquich in ampie ed estroverse campiture. Mentre dal podio si guardava al Romanticismo, insomma, la solista pensava al Classicismo. Non a caso, l’esito migliore si è avuto nel delicato Andante del Concerto, realizzato con soffusa eleganza. E non a caso è parso sofisticato e di profonda musicalità il bis con cui Widmann ha ringraziato per i grandi applausi con cui il pubblico ha salutato la sua prova: la Sarabanda dalla seconda Partita di Bach, quella che si conclude con la monumentale e celebre Ciaccona. Una trina sonora delicatamente introspettiva, condotta con misura, concentrazione e rara nitidezza.

Del resto, va sottolineato come Carol Widmann non si sia limitata al ruolo dell’artista ospite chiamata a sostenere una pagina solistica, ma abbia vissuto in pieno il senso del progetto giovanile e formativo che sta alla base della OTO. Così si spiega la sua presenza tra le fila dell’orchestra come primo violino di spalla, sia nell’Ouverture Coriolano sia nella Settima Sinfonia che ha concluso la serata. Un apporto di esperienza e sapienza musicale prezioso, il suo, per il lavoro di tutta la sezione dei violini, realizzato nel duplice ruolo di preparatrice ed esecutrice. La Settima ha messo bene in luce l’efficacia di un gruppo strumentale che cresce in equilibrio, sempre mettendo in vetrina la brillante vivacità dei fiati e degli ottoni e la precisa coesione degli archi. E che si esprime con efficace attenzione stilistica, ben motivato da Lonquich. Nel Beethoven della Settima, apprezzabile la leggerezza quasi cantabile con cui è stato “sciolto”, in tempo ben sostenuto, il celebre Allegretto, troppo spesso drammatizzato quasi come marcia funebre; e convincente il vortice del Finale, condotto con energia travolgente senza perdere di vista i dettagli timbrici.

Teatro Comunale di Vicenza al gran completo, accoglienze entusiastiche e bis pure secondo tradizione delle orchestre dei “grandi”: l’Ouverture dalle Nozze di Figaro, staccata con bel suono e grande vivacità, ma senza perdere le note per strada. Non accade tanto spesso.

Foto: Angelo Nicoletti

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