Concerti

Mozart, le ultime Sinfonie rivelate

A Verona (Settembre dell'Accademia) e Vicenza (Società del Quartetto) uno straordinario concerto della Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding. Nel programma, i capolavori composti dal Salisburghese in due mesi durante l'estate del 1788. Esecuzione senza pause fra K. 543 e K. 550, come faceva Harnoncourt. Drammaticità beethoveniana, superba ricchezza di colori e varietà di fraseggio

Durante l’esecuzione della terz’ultima Sinfonia di Mozart, K. 543 in Mi bemolle, viene spontaneo chiedersi come mai il direttore Daniel Harding abbia fatto prendere posto anche ai due oboisti, visto che nello strumentale di questa composizione gli oboi non sono previsti. E infatti se ne stanno fermi e silenziosi in mezzo ai colleghi della Mahler Chamber Orchestra, sul palco del teatro Filarmonico di Verona. La risposta arriva non appena il pezzo si conclude. In programma c’è ora la penultima Sinfonia mozartiana, K. 550 in Sol minore, e l’attacco è immediato, fulmineo. Il pubblico non ha neanche il tempo di accennare un applauso, come sarebbe stato normale. L’esecuzione prosegue volutamente senza interruzione, come se le due Sinfonie fossero una grandiosa unica composizione. Ora gli oboi suonano, eccome, e se si fosse dovuto attendere il loro ingresso, l’effetto ricercato da Harding si sarebbe perso. Non suonano invece trombe e timpani, molto attivi nel pezzo precedente, perché lo strumentale di K. 550 non li prevede: tocca a loro restarsene inoperosi in mezzo ai colleghi per un’altra trentina di minuti, perché non hanno avuto il tempo materiale di lasciare i loro posti e tornarsene fra le quinte.

Posto a concludere il Settembre dell’Accademia Filarmonica di Verona e ad inaugurare 24 ore più tardi – fuori abbonamento – la stagione del Quartetto di Vicenza, il “tutto Mozart” di Harding e della Mahler Chamber Orchestra funziona così. Quanto meno, in maniera anticonvenzionale. Ma con risultati di tale meravigliosa e perfino commovente qualità musicale da costituire uno degli eventi dell’annata concertistica.

L’insolita maniera di proporre le tre ultime Sinfonie del Salisburghese (resiste la consuetudine dell’intervallo, sennò anche K. 551, la celebre “Jupiter”, avrebbe attaccato immediatamente dopo K. 550) è la stessa adottata due anni fa dal grande direttore austriaco Nikolaus Harnoncourt, “guru” delle esecuzioni filologiche, in una registrazione di queste tre Sinfonie con il suo Concentus Musicus Wien (Sony Classical). La singolare idea del maestro, una delle sue ultime trovate, visto che è morto ottantacinquenne nel marzo di quest’anno, è che le tre ultime Sinfonie di Mozart, composte nel giro di un paio di mesi fra giugno e inizio agosto del 1788, costituiscano una sorta di inedito “Oratorio strumentale”, un unico grandioso affresco sinfonico della durata di un’ora e 45 minuti. Secondo Harnoncourt, lo spiegherebbero le caratteristiche formali di ciascuna sinfonia, ma anche le connesioni tematiche fra una composizione e l’altra. In attesa che gli storici trovino qualche prova documentale di questa teoria (un’esecuzione all’epoca, ad esempio; una lettera inedita in cui Mozart ne parla…), si può osservare che l’idea appare come una bizzarra soluzione solo apparentemente “pratica”, in realtà del tutto astratta, al mistero di questi tre capolavori “inspiegabili”, perché nati senza una specifica commissione, sui quali sono stati versati fiumi d’inchiostro. Fino a qualche decennio fa non esistevano prove di esecuzioni pubbliche a Vienna prima della morte del compositore e quindi si parlava romanticamente di “lavori per i posteri”. Ora le prove di tali esecuzioni cominciano ad emergere (una di K. 550 l’avrebbe diretta Antonio Salieri pochi mesi prima della morte di Mozart, nel 1791) e non sembra vadano nella direzione di Harnoncourt e ora di Harding.

Poco importa. Quello che conta è la resa musicale. E i concerti veneti della Mahler Chamber Orchestra dicono di un Mozart di rara capacità comunicativa e poesia sonora. Un passo in qua rispetto alla rigorosa “prassi esecutiva” di Harnoncourt, e senza strumenti antichi, Harding costruisce un’esecuzione “filologicamente informata” che per molti aspetti può essere considerata rivelatoria, esemplare. Ogni dettaglio interpretativo è realizzato per dare corpo a un’esecuzione di plastica drammaticità. La continua mobilità del fraseggio fra tempi e dinamiche vividamente contrastanti, l’incisività degli accenti, che spesso appaiono del tutto nuovi e offrono una prospettiva decisamente “teatrale” al discorso sinfonico, la brillantezza dei colori: tutto concorre a una resa sorprendente e convincente, che rende questi capolavori del tardo stile mozartiano molto più vicini alla maniera di Beethoven di quanto la tradizione esecutiva abbia finora concesso. La Mahler suona come solo gli ingranaggi musicali perfettamente oliati riescono a fare: compatta, equilibrata, in grado di dare risalto a ogni singola parte strumentale in eloquente ricchezza timbrica e virtuosismo indefettibile. Del resto, la direzione di Harding, dal sontuoso e classicissimo gesto, è allo stesso tempo analitica, prodiga di elettrizzanti sottolineature di tutte le “linee interne” delle partiture, e sintetica, forte di una tensione comunicativa assoluta che nasce dal rigore per approdare a una libertà affascinante.

A Verona un vero e proprio trionfo ha suggellato il concerto, con lunghissimi applausi e vane richieste di bis.

W.A.Mozart, Sinfonia in Do maggiore K. 551 “Jupiter”: IV. Molto Allegro

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