Concerti

I pezzi da novanta dell’era barocca

Vivaldi e Corelli, Händel e Bach per il concerto dei Musicali Affetti di Fabio Missaggia, con cui è stato festeggiato al Teatro Olimpico di Vicenza il ventennale del festival Spazio & Musica. Alfredo Bernardini concertatore e oboe solista, Luigi Lupo al traversiere. Alla fine, decine di amici e collaboratori "adepti" della musica antica si sono aggiunti all'ensemble per un organico grandiosamente corelliano

Per la festa dei vent’anni, il festival vicentino Spazio & Musica si è affidato ai pezzi da novanta. Niente rarità, questa volta al Teatro Olimpico, niente prime esecuzioni assolute in tempi moderni, come spesso è accaduto – dal 1996 a oggi, in circa 150 concerti – nel corso della rassegna creata e diretta da Fabio Missaggia. Di scena invece un quartetto di favolosi geni che ancora oggi fanno audience e sono saldamente nel repertorio: Vivaldi e Corelli, Händel e Bach. Due italiani e due tedeschi. E i tedeschi inclini a considerare la musica italiana – facendolo spesso sentire nelle loro composizioni – un punto di riferimento indispensabile. Uno, Händel, per avere a lungo viaggiato e operato nello Stivale quand’era giovane, l’altro, Bach, per avere studiato e meditato profondamente la squisita scuola strumentale e la straordinaria innovazione formale che dalla Penisola si spargevano a quell’epoca, l’inizio del Settecento, in tutta Europa. Tutti, a prescindere da stili e nazionalità, eroi eponimi del Barocco.

Protagonista della serata erano naturalmente i “Musicali Affetti”, il gruppo strumentale pure creato da Missaggia, che negli ormai lunghi anni della sua attività si è sempre caratterizzato per l’approccio “filologico” alla musica dei Seicento e del primo Settecento, non solo nella rigorosa attuazione dei presupposti tecnici e storico-esecutivi, ma pure per la libertà e perfino la “creatività” interpretativa, che era una pratica comune a quei tempi. In questa prospettiva, anche le pagine più celebri e frequentate possono rivelare ogni volta un’originalità nuova. E dunque anche un concerto a base di Händel-Bach-Vivaldi-Corelli può regalare sensazioni nuove, sorprese, diverse prospettive. Senza offuscare l’evidenza di quanto questi autori siano comunque “immortali”, ovvero capaci di parlare anche a noi, ascoltatori del XXI secolo e di suscitare l’istintiva e quasi commossa ammirazione che è l’effetto tipico dell’ascolto dei grandissimi della storia della musica.

La serata è così risultata nello stesso tempo di immediata forza comunicativa e di raffinate soluzioni stilistiche, che hanno illuminato chiaramente le profonde differenze esistenti fra questi autori. Ecco allora l’eloquio alto e a tratti maestoso di Händel, che nei suoi Concerti grossi raggiunge l’ultima grandiosa maturità di una forma messa a punto quasi mezzo secolo prima da Corelli (è stato eseguito il n. 4 dell’opera Terza, che arricchisce i colori con gli oboi e il fagotto). Ecco l’inventiva a tratti spiazzante, sempre ricchissima di fantasia di Vivaldi, proposto nel celebre Concerto per flauto traversiere che vuole essere pagine evocativa, prima ancora che descrittiva, degli stati d’animo di chi prima si appresta a dormire e poi dopo qualche turbamento (si parla di fantasmi, nel titolo del primo movimento…) si abbandona finalmente al sonno.

La presenza nella serata di un piccolo gruppo di virtuosi degli strumenti a fiato (l’oboista Alfredo Bernardini, sempre chiamato anche al ruolo della concertazione generale, il flautista Luigi Lupo, il fagottista Marco Barbaro) ha permesso fra l’altro di puntare anche su pagine in cui questi strumenti hanno un brillante ruolo solistico, come nel Concerto in Sol minore di Händel o nella seconda Suite per traversiere e archi di Bach, BWV 1067, straordinaria vetrina della stilizzazione delle Danze popolari all’epoca del Cantor, “trasformate” in irresistibili spunti ritmici e melodici di musica assoluta.

Se Luigi Lupo era parso quasi “intimidito” – pur nell’eleganza del fraseggio – dalla sottigliezza complessa di colori e di linea melodica escogitata da Vivaldi anche nelle zone estreme della tessitura dello strumento (specie al grave), in Bach la sua prova è stata di scintillante pienezza, impeccabile per precisione, musicalità e stile in un appassionante dialogo concertante con gli archi. Di grande sostanza anche l’apporto di Bernardini, specialista di calibro europeo (insegna al Mozarteum di Salisburgo) che ha riletto queste pagine, sia come solista che nell’impegno della concertazione, puntando sull’evidenza dei contrasti, la ricchezza del suono, l’articolazione del fraseggio.

Come in tutte le feste, finale a sorpresa. Per il conclusivo Concerto Grosso op. VI n. 4 di Arcangelo Corelli – brano simbolo del Barocco strumentale italiano specialmente nel suo trascinante primo movimento – Fabio Missaggia ha infatti convocato “segretamente” una buona trentina di amici e collaboratori vecchie e nuovi nella sua avventura lunga vent’anni dentro la musica antica. E così l’esecuzione, fino a quel momento affidata a un ensemble di una dozzina di elementi, è stata proposta da un’orchestra foltissima di quasi una cinquantina di suonatori. Soluzione fuori dai “canoni” della filologia? Niente affatto, visto che è nota e documentata la predilezione di Corelli per complessi strumentali particolarmente folti nell’ambito della sua attività a Roma. E soprattutto soluzione “creativa”, destinata a sollevare lo stupore di chi ascoltava, nella più pura adesione a un cardine dell’estetica barocca. Così è stato, con apprezzamento cordialissimo da parte di un pubblico partecipe e coinvolto anche nell’evidenza di come la “formula” di Spazio & Musica abbia creato negli ultimi vent’anni una vera e propria comunità di musicisti votati a rivelare il multiforme fascino della musica antica.

Foto: Marco Missaggia

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