Opera

Sonnambula, giovani in bello stile

La travagliata crisi della Fondazione Arena resta sullo sfondo, grazie anche all'impegno del direttore artistico Gavazzeni. Al Filarmonico il capolavoro di Bellini con la regia di Hugo de Ana, nata per il teatro veronese nove anni fa. Positiva la direzione di Francesco Ommassini, elegante sul versante idilliaco dell'opera ma capace anche di adeguata brillantezza. Compagnia interessante, con la protagonista Gilda Fiume in buona evidenza

In genere, crisi come quella che sta dilaniando la Fondazione Arena hanno un impatto negativo notevole sulla normale programmazione degli spettacoli. Altrove in Italia, le vertenze sindacali più aspre hanno visto talvolta anche scioperi ripetuti e improvvisi, incubo del pubblico prima ancora che del management. A Verona, se si escludono le giornate caldissime di metà dicembre (quando sono saltate tre serate di balletto e una replica operistica), uno spettatore ignaro di quello che da mesi sta succedendo, potrebbe credere che la situazione sia tranquilla, che non si stiano vivendo giorni decisivi per la sopravvivenza stessa della Fondazione. Tra Filarmonico e Ristori, fra stagione sinfonica e operistica, dall’inizio dell’anno il calendario non ha subito modifiche o interruzioni. Di più: a quegli stessi spettatori non è stato nemmeno mai consegnato un volantino, un documento di protesta. Mai spettacolo è stato preceduto da qualche discorso sulla presente situazione e i suoi possibili sviluppi.

Lo si deve allo spirito di “appartenenza” e all’orgoglio artistico e culturale dei dipendenti ma anche al senso di responsabilità del direttore artistico Paolo Gavazzeni. Quest’ultimo, fra le difficoltà di tipo organizzativo ed economico che si possono immaginare (se non c’erano soldi per gli stipendi dei dipendenti, quali garanzie si potevano offrire agli artisti da ingaggiare?) ha continuato a fare il suo lavoro a prescindere da quello che avveniva nella stanza dei bottoni. Che del resto non ha mai frequentato oltre lo stretto necessario.

Gavazzeni può essere legittimamente soddisfatto, ad esempio, dell’esito dell’ultimo spettacolo in cartellone – prima dell’estate – nella stagione operistica al Filarmonico, La Sonnambula di Vincenzo Bellini. Ha infatti assemblato una compagnia di canto inevitabilmente (per motivi di cassa) e giustamente basata su giovani interpreti, capaci però di offrire una prova più che rispettabile per consapevolezza di stile e ricerca tecnica. Ha consegnato la bacchetta a un altro giovane, Francesco Ommassini, che ha intrapreso la carriera direttoriale dopo essere stato a lungo violinista proprio nell’orchestra dell’Arena, e che ha dimostrato di avere pensiero musicale e gesto. Ha fatto tesoro, infine, di un “patrimonio” della Fondazione, lo spettacolo creato proprio per il Filarmonico, nove anni fa, da Hugo de Ana, riproposto nella sua eleganza ed efficacia anche visiva senza concessione alcuna al deteriore del repertorio.

Nella Sonnambula del regista argentino si apprezza l’elegante stilizzazione – per la quale sono decisivi i bellissimi costumi ottocenteschi da lui stesso firmati – e la semplicità di un’ambientazione che sottolinea la cornice agreste e paesana della vicenda grazie alla ricchezza suggestiva di un notevole apparato di proiezioni, che disegnano paesaggi e colori, permettendo di ridurre la scenografia a un ondulato tappeto erboso.

Vince il senso dell’idillio che è il cuore espressivo del capolavoro belliniano (ma non ricordavamo la specie di “fungo atomico” che appare sullo sfondo al momento del lieto fine…), e che anche il direttore Ommassini persegue con nitida chiarezza interpretativa. Morbidezza di fraseggio e soffusa tenuità dei colori e delle dinamiche in orchestra caratterizzano il primo atto, “vetrina” della felicità sentimentale dei due protagonisti, Amina ed Elvino, almeno fino all’irrompere del singolare elemento drammatico della tenue vicenda: il sonnambulismo della protagonista, che la fa ritenere colpevole di un tradimento che non c’è. Nel secondo atto, poi, Ommassini disegna bene il vivacizzarsi del racconto anche musicale, staccando tempi più sostenuti e dinamiche più accentuate, salvo ritrovare la vena elegiaca nel grande pezzo di bravura finale di Amina, la celebre Aria “Ah! Non credea mirarti”, dagli echi leopardiani nei bei versi del librettista Felice Romani e dalla suprema dolcezza patetica nella sinuosa melodia di Bellini.

Nei panni di Amina, Gilda Fiume ha dato il meglio nelle mezzevoci e nella linea di un canto spesso a fior di labbra, angelicato come il personaggio. Il timbro è elegante, la facilità a salire al sovracuto c’è, meno quella a cesellare l’agilità nei passaggi più rapidi. Il tenore Jesús Leon, Elvino, ha voce piccola per quanto sorvegliata e spesso non ha sfoderato lo smalto necessario alla parte; interessanti il basso Sergey Artamonov, voce profonda ma duttile e il vivace soprano Madina Karbeli, che ha sostenuto la parte di Lisa. Impeccabile per equilibrio e misurata omogeneità il coro istruito da Vito Lombardi, ottimo protagonista all’inizio del secondo atto.

Alla prima, molti consensi anche a scena aperti, applausi e chiamate alla fine, da parte di un Filarmonico al completo. Repliche il 19, 21 e 24 aprile.

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