Cronache

Arena, una strana privatizzazione

Il sindaco Tosi spera che il ministro Franceschini accolga la sua proposta di liquidare la Fondazione e vuole una gestione di stampo impresariale. Nella stessa direzione guarda il progetto di Arena Lirica Spa, che però avrebbe soci fondatori pubblici (Comune, Camera di Commercio) o di interesse pubblico (Cariverona): esattamente come la Fondazione lirica, lasciata affondare senza che i suoi soci provassero a impedirlo nella maniera più logica: cambiando il management

In attesa che a Roma si decida se e come salvare Fondazione Arena, appesa a un filo sopra il baratro della sua fallimentare gestione (il sindaco Tosi, si sa, vorrebbe mandare tutti a casa), a Verona con ben studiato tempismo e geometrica sincronia, i giornali locali si riempiono dei grafici che illustrano il progetto di Arena Lirica Spa. Trattasi del soggetto studiato dal trio formato da due avvocati e un imprenditore, due su tre con pregressa esperienza nel consiglio della Fondazione Arena (ne avevamo parlato qui qui), che vedi caso arriva allo scoperto proprio nel punto più critico della storia centenaria degli spettacoli operistici in Arena. E a questo punto, diventa veramente improbo il tentativo di capire quale sia la strategia. Del sindaco Tosi ma anche del trio. E rimane un’evidenza: che nulla si lascia di intentato, pur di intorbidare ulteriormente le acque.

I tre tengono a sottolineare le distanze: «Mai parlato con il sindaco Tosi». Ma davvero? Speriamo che ci abbiano parlato, invece. Oppure che senso avrebbe immaginare una Spa che abbia tra i soci fondatori il Comune? In ogni caso, nei mesi scorsi era sembrato di cogliere che il progetto della Spa fosse una possibile e tutt’altro che sgradita (al sindaco) concretizzazione dell’unico elemento chiaro nella linea di Tosi: privatizzare gli spettacoli operistici in Arena. Ora, però, qualche distonia fra l’una e l’altra pare di coglierla.

Il sindaco liquidatore, per salvare il festival 2016 (più in là non si guarda), sembra immaginare una gestione impresariale diretta, all’antica. Com’è stato nella storia del melodramma dagli albori fino a quasi la metà del XX secolo: il committente (che sia un Comune o un proprietario di teatro, singolo o in società), incarica un impresario di mettere in piedi la stagione, della quale si accolla rischi ed eventuali profitti. Una prassi entrata nel mirino della satira fin dal ‘700 (ci sono pamphlet e persino intere opere liriche o teatrali che si prendono gioco delle figure impresariali) per la sua precarietà e per l’alto tasso di avventurieri che sguazzavano nel sistema. Basti dire che l’antica consuetudine – durata a lungo – di pagare gli artisti quando ancora lo spettacolo non era finito era una forma di garanzia, una sorta di “assicurazione” per evitare che si trovassero a mani vuote e magari con l’impresario sparito nel nulla.

Tosi sembra far suo il noto aforisma verdiano – del quale difficilmente avrà sentito parlare, l’opera non è fra i suoi maggiori interessi – che diceva: «Torniamo all’antico e sarà un progresso». Verdi però parlava di musica, nella fattispecie, e non certo di impresari, che non amava per nulla. E poi in Italia, fino a prova contraria, lo Stato comunque finora riconosce (al netto della spada di Damocle incombente su tutto il sistema: la delega al governo per il riordino del settore) di avere un ruolo primario non solo nel finanziamento ma anche nelle pratiche realizzative delle “performing arts”. Serve anche a garantire il pubblico, tramite la qualità, che il bene culturale chiamato opera non viene buttato alle ortiche. In che misura gli spettatori sarebbero garantiti dalle fumose chiacchiere sull’organizzazione impresariale del prossimo festival è tutt’altro che chiaro. Ma già corrono le voci sulle figure “artistiche” disposte ad abbracciare questo avventuristico salto nel vuoto.

La privatizzazione “dura e pura” caldeggiata da Tosi, però, non ha molto a che vedere con Arena Lirica Spa. Qui si parla di una società a partecipazione mista, di cui i fondatori sarebbero il Comune, la Camera di Commercio (istituto che di suo in Italia non gode di particolare salute, oggi), la Fondazione Cariverona… I soliti noti, insomma, con l’ipotetica aggiunta di mecenati, soci privati, Fondi finanziari. Utili portatori di risorse abilitati a mollare nel giro di tre anni, quando la Spa diventerebbe – mamma mia che accrocchio – Fondazione. Una società intermedia, pare di capire, che comunque per i fatti artistici finirebbe per fare riferimento a una gestione di tipo impresariale. Al netto di quest’ultima perniciosa deriva, dove abbiamo già sentito parlare di una cosa del genere? Ma certo! Anche le Fondazioni lirico-sinfoniche hanno questa stessa “ratio”: sono di diritto privato, ma finanziate anche dal pubblico. Possono avere tutta la agilità, scioltezza ed efficacia della gestione privatistica. Da qualche parte avviene: Opera di Roma, Fenice, Regio di Torino. A Verona non succede e si è sull’orlo del fallimento? Ma i soci dove guardavano? Perché non hanno cambiato prima chi dirigeva la baracca? Nessuno glielo impediva. O no?

Condividi questo articolo:
Facebook
WhatsApp
LinkedIn
Email