Concerti

Schubert, l’inverno della speranza

Per la stagione della Società del Quartetto, la sublime e inquietante raccolta di Lieder della "Winterreise" (Viaggio d'inverno) è stata cantata dal baritono tedesco Matthias Goerne, con Alexander Schmalcz al pianoforte. Un capolavoro introspettivo e drammatico, reso con esemplare qualità vocale

In un libro pubblicato l’anno scorso dal Saggiatore, il tenore inglese Ian Bostridge osserva che Viaggio d’inverno di Schubert è «il primo e il più grande dei concept album». In effetti, la raccolta di 24 Lieder su poesie di Wilhelm Müller, scritti dal musicista austriaco l’anno prima della sua precocissima fine (fu stroncato dalla sifilide a 31 anni, nel 1828) ha una profonda e inquietante unità d’argomento e per molti aspetti offre una “narrazione” coesa e stringente. Il soggetto – letterario non meno che musicale – è l’idea della morte, variamente elaborata con ricchezza di immagini e metafore di ogni tipo, spesso collegate alla cultura popolare. In questa desolata narrazione confluisce anche la cosiddetta “poetica del viandante”, centrale nel Romanticismo e cruciale nell’arte di Schubert, specialmente nella sua colossale quanto fondamentale produzione di Lieder, costituita da oltre 600 composizioni. Il viaggio come metafora dell’esistenza e l’inverno come trasparente allusione alla stagione conclusiva della vita sono solo le coordinate generali di un percorso nel quale dominano la sconfitta sentimentale e la solitudine. E quindi il viaggio è senza meta, se non la fine spesso anelata come soluzione di ogni sofferenza; e l’inverno non prevede primavera, tranne che in un fuggevole sogno, mentre l’inclemenza degli elementi imperversa ugualmente sulla natura e sullo spirito.

Fra le opere del “tardo stile” schubertiano, all’interno della prodigiosa collana di capolavori nati quando ormai la malattia stava sopraffacendo il musicista, Viaggio d’inverno è perciò quella che più direttamente mette l’ascoltatore di fronte alla tragedia esistenziale del compositore. Oltre la bellezza lancinante e di puro suono delle ultime Sonate per pianoforte o della grande Sinfonia in Do maggiore, questa tetra collana di Lieder segna una delle vette di un genere che non a caso l’Ottocento avrebbe poi reso il luogo creativo in cui le “arcane corrispondenze” della musica più efficacemente si sarebbero coagulate intorno alla poesia, spesso amplificandone l’eco letteraria. Lo si deve a un’invenzione di metafisica profondità, nella quale la melodia ha il sapore agrodolce della rassegnazione ma anche quello tagliente della consapevolezza, mentre l’accompagnamento pianistico cessa di essere cornice o pennellata evocativa per diventare elemento fondamentale di struttura come di atmosfera o di colore. In un dialogo fra voce e strumento denso di arcani significati.

Proporre in concerto l’intero Viaggio d’inverno è una scelta alta, dal punto di vista culturale, e coraggiosa. Perché il Lied è genere al più rispettato, ma non particolarmente amato in Italia. E nelle stagioni concertistiche le sue tracce sono esili. Lo ha fatto nei giorni scorsi al Comunale di Vicenza la Società del Quartetto, in una serata da contrassegnare fra gli eventi della stagione musicale in corso e da considerare momento culturale di particolare significato. Anche perché per questa proposta è stato convocato uno dei maggiori specialisti dei Lieder di Schubert, il baritono tedesco Matthias Goerne, accompagnato al pianoforte da Alexander Schmalcz.

In uno spazio tutt’altro che raccolto come la sala grande del Comunale, fin dalle prime note di Gute Nacht, il Lied che apre la raccolta, Goerne ha fatto capire quale sarebbe stato il suo percorso: una linea interpretativa di eccezionale duttilità tecnica e vocale (corpose le note basse, mobilissima la dinamica e la linea di canto, quasi eterei i passaggi talvolta perfino falsettistici sull’acuto). Alla base di tutto, l’evidenza di un lavoro analitico sul testo – letterario e musicale – che ha reso il concerto una sorta di astratta “rappresentazione” drammatica, 75 minuti di meditazione interiore e insieme di racconto che hanno preso vita dall’incrocio fra parola e melodia. E come elemento caratterizzante, la morbida bellezza del timbro di questo cantante, la dolente interiorità del suo fraseggio, la ricchezza delle sfumature nel continuo rimando fra parola e melodia come portale d’ingresso nel mondo desolato dell’ultimo Schubert. Al pianoforte, Schmalcz non si è mai concesso esuberanze solistiche (che qualche volta la scrittura sembra indicare fino a farle diventare tradizione esecutiva) ma ha costruito il versante strumentale con suono preciso e fraseggio misurato, ottenendo il risultato di esaltare la vocalità di Goerne senza cancellare la meditabonda, evocativa dimensione espressiva costruita da Schubert.

Pubblico meno numeroso che in altre occasioni, alla fine entusiasta.

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