Concerti

Le strade alternative della Sinfonia

Una serata con il Settecento orchestrale tedesco. Federico M. Sardelli sul podio dell'Orchestra del teatro Olimpico ha proposto un itinerario fra un autore poco noto come C. Ph. E. Bach e uno del tutto sconosciuto come Joseph Martin Kraus, prima di arrivare al popolare Beethoven della Prima

Dopo la metà del ‘700, conclusa la grandiosa esperienza del Barocco, la musica in Germania sembra entrare in una sorta di fase “sperimentale”. Emergono e si affermano – anche fuggevolmente – nuove e multiformi caratteri stilistici. È un momento di particolare vivacità, destinato a confluire nel giro di qualche decennio in quella che diventerà la lingua comune della musica europea prima del Romanticismo, il Classicismo viennese. In particolare, il superamento della dottrina degli “affetti”, cardine del Barocco, lascia spazio a una tensione espressiva molto più complessa, che si manifesta nel cosiddetto “stile sentimentale” così come nelle esperienze preromantiche tipiche della corrente “Sturm und Drang”. Il limite di questi tentativi è dato spesso dalla loro schematicità formale, rispecchiata in una certa ristrettezza inventiva ed elaborativa – al di là dei contrasti dinamici e di fraseggio o della scelta di tonalità “cupe” o drammatiche.

Se ne è avuta dimostrazione al teatro Comunale di Vicenza, in occasione del recente concerto dell’Orchestra del Teatro Olimpico, il quinto della stagione. Affidato alla bacchetta colta e sofisticata di Federico Maria Sardelli (l’autore de L’affare Vivaldi, il bel libro presentato la sera prima in un affollato incontro alla libreria Galla), il programma delineava infatti un percorso nel sinfonismo del secondo Settecento lontano dalle vie battute del Rococò, dello stile di Mannheim e quindi dell’affermazione classicista. O meglio, l’approdo era sì al notissimo Beethoven della prima Sinfonia, sintomaticamente datata 1800, ma lo si è raggiunto attraverso autori oggi quasi sempre limitati ai manuali di storia della musica, come Carl Philipp Emanuel, figlio secondogenito di Sebastian Bach, vissuto fra il 174 e il 1788, o decisamente sconosciuti ed estranei alla normale programmazione, come Joseph Martin Kraus. Era questi un compositore tedesco le cui vicende biografiche si distendono esattamente nello stesso periodo in cui visse Mozart (nacque nel 1756, cinque mesi dopo Amadeus e morì esattamente un anno dopo il grande salisburghese, nel dicembre 1792), che si affermò alla periferia nord dell’Europa, alla corte di Gustavo III di Svezia.

Entrambe le Sinfonie di questi autori ascoltate al Comunale sono ancora in tre movimenti e il comune modo minore (Si minore quella di C. Ph. E. Bach, Do minore quella di Kraus) ne determina la caratteristica espressiva, lontana da una banale serenità. Tuttavia, il figlio di Bach sembra faticare ad andare oltre alla sapienza costruttiva ereditata dal padre, senza averne la fantasia creativa e l’ecletticità stilistica, mentre Kraus mostra una vivacità inventiva che specialmente nei movimenti di apertura e di chiusura, in tempo svelto, si manifesta in un linguaggio orchestrale già corposo, chiaroscurale non solo in virtù delle indicazione dinamiche ma anche del rapporto fra le parti. La sua Sinfonia è datata 1783 (nel cuore dunque del “decennio magico” di Mozart a Vienna) e si può capire come un musicista del calibro di Haydn la tenesse in alta considerazione. Anche se a noi appare oggi francamente embrionale rispetto alle Sinfonie che lo stesso Haydn andava componendo allora (stava per maturare lo sfolgorante ciclo delle “parigine”). Quanto a Beethoven, la sua Prima emerge come sintesi fra la sensibilità espressiva tempestosa di un autore come Kraus e la ricchezza formale del Classicismo, che ha interamente assorbito. Così, in questa Sinfonia l’elaborazione tematica è chiara e ben condotta non soltanto sul piano ideativo ma anche nella realizzazione strumentale, con una ricchezza di colori e di “scambi” fra le parti davvero straordinaria.

L’interpretazione di Sardelli è parsa ideale per chiarire nessi stilistici e forza inventiva originaria di questo giovanile Beethoven: una lettura estroversa e a tratti spumeggiante, libera eppure attenta ai dettagli, non senza concessioni a consuetudini esecutive desuete (mai ci era capitato di ascoltare la Prima con la presenza sferragliante di un clavicembalo a rinforzare i bassi, peraltro ben presto “assorbita” dall’insieme) eppure capace di far emergere la novità espressiva del compositore. L’orchestra del Teatro Olimpico è stata al gioco con magnifica partecipazione. Se nell’iniziale C. Ph. E. Bach (per soli archi) era parsa quasi timorosa, già in Kraus ha sciolto la freschezza della sua ben congegnata omogeneità e l’incisiva efficacia delle sezioni degli archi e alla fine in Beethoven ha fatto emergere la musicalità brillante dei fiati, la ricchezza di colore dei violoncelli, la nitidezza degli ottoni e anche la voglia di divertirsi del giovane timpanista Gianmattia Gandino, cui Sardelli ha concesso licenza di un protagonismo in tutto e per tutto beethoveniano specie nell’ultimo movimento, dominato dalle sue insolite “rullate”.

Forse un po’ perplesso su Bach, poi via via sempre più convinto, il pubblico numeroso del Comunale alla fine non la smetteva più di applaudire e ha ottenuto la ripetizione dell’intero ultimo movimento di Beethoven.

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