Concerti

La sfida di suonare senza direttore

L'Orchestra giovanile del Teatro Olimpico di Vicenza, pur in situazione di emergenza (forfait all'ultimo di Nicolas Altstaedt), ha risolto assai bene il Mozart della Sinfonia K. 201 e il quinto Concerto per pianoforte di Beethoven con coesione e maturità ragguardevoli. Pietro De Maria solista di qualità

Quando si parla di “scuola di orchestra”, normalmente si pensa a un’esperienza formativa destinata ai giovani e quindi basata sulla “pedagogia” del suonare insieme. La complessità musicale di questa attività è evidente, ed è una sfida artistica che può dare frutti anche significativi, nella quale molto può essere programmato, quasi tutto. Nella “vita reale” di un’orchestra, però, ci sono anche situazioni che non hanno una immediata valenza musicale ma che finiscono per influire su di essa in maniera decisiva. La più tipica è l’emergenza che si crea allorché le scelte e i progetti si devono confrontare con accadimenti quotidiani non preventivabili ma pur sempre possibili (e i professionisti della musica lo sanno) come il forfait di un direttore.

Difficile credere che nel programma di questa stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico ci fosse anche la particolarissima “esercitazione pratica” che si determina in un caso del genere. Ma è proprio quello che è accaduto. Così, l’emergenza è diventata l’occasione di una sfida diversa e nuova e di un’utilissima quanto inedita esperienza, superata alla grande.

Il progetto del concerto di lunedì era inizialmente tutto diverso: in veste di solista e direttore doveva esserci il violoncellista Nicolas Alstaedt, il programma musicale era ovviamente legato alla sua presenza. Invece, non troppo tempo prima dell’inizio dello stage settimanale che i giovani della Oto compiono per ogni produzione, Altstaedt è stato costretto a gettare la spugna per un malanno. In corsa si è deciso non soltanto di non far saltare la serata, ma di rovesciarla interamente, affrontando tutt’altri autori e ben diverse problematiche musicali. Nell’emergenza si improvvisa, insomma. Nel senso migliore del termine, quello consacrato da secoli di straordinarie improvvisazioni musicali. In realtà, si può ben immaginare lo studio serrato necessario a creare il nuovo concerto, per il quale non si è esitato ad affrontare anche uno dei monumenti della letteratura per pianoforte e orchestra, il quinto Concerto di Beethoven, noto con l’etichetta abusiva di “Imperatore”, ben presto entrata nell’uso pur senza mai essere stata voluta né tantomeno apprezzata dal compositore.

Niente direttore sul podio: il preparatore della sezione dei violini, Filippo Lama, seduto al leggio del primo violino di spalla ha sostenuto il ruolo dell’antico “Konzertmeister”, non solo nella prima parte del programma, basata sulla terza Suite per archi “Antiche danze arie per liuto” di Ottorino Respighi e sulla Sinfonia K. 201 di Mozart, ma anche nel quinto Concerto, che ha visto protagonista come solista il pianista Pietro De Maria. Il quale a sua volta ha rinunciato al ruolo di pianista-direttore, sempre più frequente oggi, determinando quindi una “configurazione” decisamente originale.

In effetti, dopo qualche aggiustamento iniziale, inevitabile date le circostanze, nel Concerto beethoveniano il dialogo fra solista e orchestra è parso di encomiabile precisione e nitidezza. Il gruppo strumentale ha dato risalto con appropriato colore allo spirito sinfonico che soffia su questa partitura dalle popolari e avvincenti melodie, riuscendo anche a delineare con efficacia le delicatezze strumentali che comunque il compositore tedesco disegna, specialmente nel dialogo fra solista e strumenti a fiato. De Maria ha percorso la grandiosa partitura con tocco asciutto e preciso, senza inutile retorica romantica ma con una brillantezza di impronta classicistica decisamente interessante nei due movimenti estremi e una pensosa vena patetica nel seducente “Adagio un poco mosso” centrale.

Nella prima parte, spazio al neoclassicismo utile al regime fascista di Ottorino Respighi, trascrittore di italianissime “Antiche Arie” in una Suite per archi (del 1931) che è utile soprattutto per il lavoro che consente sul suono, in effetti ben tornito e articolato dalla Oto. E soprattutto, spazio alla solare Sinfonia mozartiana K. 201, gioiello classicistico restituito con brillantezza pari alla precisione e all’eleganza.

Teatro al completo, grandi applausi per tutti, alla fine triplo bis di De Maria, fra Chopin, Liszt (“La Campanella”) e Bach (il Preludio in Do maggiore dal primo volume del Clavicembalo ben temperato). Di rara eleganza, nella sua trina sonora lieve e quasi esangue, lo chopiniano Valzer in Do diesis minore (op. 64 n. 2).

 

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