Concerti

Bruckner, nuovi orizzonti per la Oto

La prima Sinfonia del compositore austriaco era una sfida difficile, ma l'orchestra giovanile vicentina diretta da Alexander Lonquich l'ha superata molto positivamente. Nel programma anche l'elegante "Appalachian Spring" dell'americano Aaron Copland. In bella evidenza tutte le parti di fiati e ottoni

C’è un appuntamento, nella stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico, che rappresenta una novità assoluta. È il meeting con la maggiore e probabilmente più antica orchestra “di formazione” di casa nostra, la Giovanile Italiana, nata nell’ambito della Scuola di Musica di Fiesole. Accadrà il 4 aprile e in quell’occasione la somma degli organici permetterà un programma da grande orchestra sinfonica, 80-90 elementi sul palcoscenico, con pagine celebri di Wagner e Strauss, Debussy e Ravel. Forse è in questa prospettiva – come utile “training” – che nel frattempo Alexander Lonquich conduce la Oto non solo sulle vie del Classicismo, ma anche su quelle del tardo Romanticismo e del Novecento. Per esplorare mondi sonori meno essenziali ma non certo meno affascinanti, nei quali il dialogo fra le parti diventa un paesaggio complesso e multiforme.

Il concerto pre-natalizio, tenutosi in un teatro Comunale ben affollato, era di questo genere ed era anche un inedito per le scelte degli autori e delle composizioni. La scommessa stava nel fatto che in genere pagine come la prima Sinfonia di Anton Bruckner (scritta nel 1865-66, rivista una dozzina di anni più tardi), o anche la Suite Appalachian Spring del compositore americano Aaron Copland (1944) vengono proposte con organici piuttosto nutriti; si dice degli archi, naturalmente, visto che il numero di fiati e ottoni è prefissato e sempre rispettato. La Oto si è presentata con sette primi violini e sei secondi, puntando semmai a irrobustire la tessitura bassa grazie a sei viole, cinque violoncelli e quattro contrabbassi: una distribuzione non massiccia, che ha fatto della serata un bel banco di prova per queste sezioni. Sfida peraltro superata grazie alla precisone e all’omogeneità, ma soprattutto alle scelte interpretative di Lonquich, intelligentemente “modellate” sul suono a disposizione.

Lo si è notato soprattutto in Bruckner. La sua prima Sinfonia è solo il passo di debutto in un ambito nel quale il compositore acquisirà in seguito ben altra forza e potenza espressiva, ma contiene comunque in embrione tutte le caratteristiche della scrittura orchestrale di quest’autore, sia pure calate in un contesto ancora d’ispirazione classicistica. Schubert sembra essere il punto di riferimento principale, specialmente per l’ampiezza dell’elaborazione tematica e la ricchezza delle soluzioni armoniche; già tutto bruckneriano è lo spessore del suono, la propensione per i grandi unisoni nei quali spicca l’oro antico del suono degli ottoni. Lonquich sceglie di non fare di questa Prima solo una premessa stilistica dei grandi affreschi sonori successivi (la Quarta, la Settima, la Nona), alleggerisce il fraseggio pur nel rispetto dei forti contrasti dinamici che percorrono la partitura da cima a fondo, sottolinea la vivacità ritmica, specie dello Scherzo e del Finale, soprattutto delinea un suono ricco ma non esageratamente maestoso. Legni e ottoni gli rispondono con pregevole precisione e impeccabile qualità di colore, gli archi tengono il passo bravamente, energici quanto serve i violini, corposi viole e violoncelli. Ne esce un equilibrio di buon effetto e di intima musicalità.

Se Bruckner imbocca la strada della complessità, in Appalachian Spring Copland si propone di esaltare il valore della semplicità e rende omaggio allo spirito dei pionieri con una partitura che ha il singolare destino di essere considerata profondamente “americana” negli spunti e nell’idea pur aderendo di fatto a una sorta di trasparente rivisitazione dello stile neoclassico europeo. Lonquich e la Oto ne hanno proposto una rilettura quasi stravinskiana (in riferimento allo Stravinskij neoclassico, evidentemente) per il rigore, la lucidità e l’eleganza, che ha esaltato tutte le parti e l’omogeneità complessiva. Esecuzione insieme brillante e pensierosa, morbida e incisiva, capace di sottolineare l’accattivante invenzione melodica di Copland, la sua multiformità ritmica, la ricchezza della strumentazione.

Dall’America all’Austria, dal Novecento all’Ottocento, il pubblico ha dimostrato di apprezzare senza riserve.

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