Cronache

Rivolta Arena, Girondini in bilico

Dal 13 novembre dipendenti in assemblea permanente (e sede della Fondazione occupata) per bloccare l'annunciata revoca del contratto integrativo, che vale il 30 per cento degli stipendi. Il Pd e il Movimento 5 Stelle veronesi con i sindacati nel chiedere la testa del sovrintendente, che non molla anche se il debito è a 35 milioni. Tosi in trincea, ma le scelte strategiche appaiono sempre più zoppicanti

In questo scorcio d’autunno, la Fondazione Arena e la squadra di calcio dell’Hellas Verona hanno in comune – oltre al fatto di essere tradizionali simboli cittadini – due circostanze: entrambe sono profondamente in crisi, con forti tensioni interne ed esterne; entrambe, malgrado la situazione, hanno deciso per ora di non cambiare guida. Il destino del tecnico Andrea Mandorlini, quali che siano i proclami della proprietà, è ovviamente legato ai risultati prossimi venturi, secondo costume del calcio italiano. Quello del sovrintendente Francesco Girondini è ormai una questione politica, una sorta di “Tosi contro tutti”. Se l’allenatore dell’Hellas avesse, come suol dirsi, “lo spogliatoio contro”, avrebbe già fatto le valigie. Il numero uno della Fondazione è ai ferri corti con il metaforico “spogliatoio” areniano, i dipendenti, ormai da lunga pezza. Le valigie non le ha fatte, anche se qualche voce, durante l’estate lo diceva pronto alla partenza. E ora si trova a tentare di gestire una situazione che definire di stallo è improprio. Perché non è uno stallo un testa a testa con i lavoratori che si svolge mentre inesorabilmente la situazione peggiora.

L’accelerazione della crisi è nata il 13 novembre, quando Girondini ha comunicato ai sindacati la decisione del Consiglio di indirizzo di azzerare dal primo gennaio il contratto integrativo. Si tratta di una parte che vale circa il 30 per cento dello stipendio dei dipendenti areniani, per una somma che supera i 6 milioni di euro all’anno. Il costo complessivo del personale, peraltro, secondo dati di fonte sindacale è fra i meno onerosi di tutte le Fondazioni liriche italiane, nel 2013 ben sotto il 50 per cento dei costi complessivi di produzione (in termini assoluti, circa 27 milioni/anno). Dalla disdetta i dipendenti sono in “assemblea permanente” in sala Fagiuoli. E a poco sono serviti gli inviti più o meno perentori a trasferirsi in altra sede. Neanche l’incontro con il sindaco Tosi ha riportato la situazione a una parvenza di normalità. Anzi, ha reso l’evidenza dell’attuale muro contro muro. L’assemblea, hanno fatto sapere i sindacati, si scioglierà solo quando sarà revocata la disdetta dell’integrativo.

Confermato a sorpresa otto mesi fa, dopo che già si era chiamato chiaramente fuori, il sovrintendente da allora si è disegnato un profilo molto basso nella gestione dell’Arena, lasciando completamente la ribalta a Tosi. Nel suo totale silenzio, infatti, era stato il sindaco ad accendere la polemica e la conflittualità. Prima disdettando il contratto d’affitto del Teatro Filarmonico, storica sede di ogni attività non estiva della Fondazione, e facendo capire di essere pronto a trasferire il tutto nel minuscolo Ristori, dove ben poco del cartellone abituale potrebbe essere ospitato. Poi, quando ancora il festival in Arena non si era concluso, indicando le coordinate di una spending review fatta solo di riduzioni di spettacoli, tagli ai costi per il personale, fumose strategie per riportare il pubblico in anfiteatro. Nulla sul rilancio artistico, nulla sul contenimento di sprechi che ormai sono notori. Il caso più eclatante è quello del Museo dell’Opera, il cosiddetto “Amo”, che secondo i conti dei tecnici interpellati per la messa a punto del “piano industriale” costa più di un milione all’anno ed è un flop conclamato. Metà di questo milione se ne va per l’affitto del palazzo dove il museo è collocato, di proprietà della Fondazione Cariverona, la quale a sua volta, asseritamente, si era detta disposta a locare il Ristori, pure di sua proprietà, a costo zero. Del resto, l’affitto del Filarmonico è un onere del Comune, non della Fondazione e non è chiaro in che cosa consisterebbe il risparmio per quest’ultima, in caso se ne andasse. Evento ora meno certo: dipenderà dall’esito della trattiva riservatissima in corso fra Comune e Accademia Filarmonica.

La situazione economica è critica. Come ha rilevato il Sole 24 Ore poco più di un mese fa, elaborando i bilanci delle Fondazioni, a Verona la forbice fra costo e valore della produzione è scesa dai 6,3 milioni del 2013 (anno del maggiore sforzo produttivo per il centenario degli spettacoli lirici in Arena) ai 5,4 milioni del 2014. Un piccolo miglioramento tendenziale, ma l’indebitamento complessivo – dato non considerato nella sua effettiva entità nei tanti discorsi sentiti in questi giorni – sfiora ormai i 35 milioni (34,8).

Al centro di molte discussioni c’è oggi la non adesione alla legge Bray, in vigore dall’inizio del 2014 per guidare e agevolare il risanamento delle Fondazioni in difficoltà. Nella cornice di quella legge, l’integrativo avrebbe potuto essere ridiscusso senza le problematiche giuridiche che attualmente ostacolano, anzi impediscono la contrattazione in assenza di rinnovo dell’accordo nazionale. E lo spauracchio dei licenziamenti, evocato da Tosi per giustificare questa scelta, appare strumentale alla luce della situazione delle Fondazioni che hanno aderito alla Bray, sotto il controllo governativo. Il punto aggiornato all’ottobre scorso (sempre dati Il Sole 24 Ore) dice che nessuna Fondazione ha dovuto licenziare. Al Maggio Fiorentino, l’istituzione più dissestata di tutte, 53 lavoratori non hanno perso il lavoro ma sono stati trasferiti alla società interinale governativa “Ales” e quindi ad altro incarico. È un ammortizzatore sociale previsto dalla legge, che poi in due anni ha erogato a cinque Fondazioni già 115 milioni di prestiti agevolati da restituire in 30 anni. Una condizione non dissimile da quella che ora Fondazione Arena – con tre consorelle non aderenti alla Bray, fra cui la Fenice – cerca faticosamente di ottenere ad un tavolo governativo, tramite accordo con la Cassa Depositi e Prestiti, per provare a ridurre il debito-monstre.

Intanto, mentre il Pd non manca di spaccarsi, con i deputati veronesi all’attacco del rappresentante del partito nel consiglio d’indirizzo, reo di avere appoggiato Girondini e la disdetta dell’integrativo, le trattative sono ancora a zero, la tensione è alle stelle e l’ipotesi del commissariamento è sempre più probabile. Da tutte le parti politiche tranne quella di Tosi, oltre che dalle organizzazioni sindacali, la sfiducia a Girondini è conclamata. Fosse un allenatore di calcio, in una situazione del genere alla prima sconfitta salterebbe.

Condividi questo articolo:
Facebook
WhatsApp
LinkedIn
Email