Cronache

Fondazione Arena, arriva la bufera

I dati dell'estate 2015 sono negativi, ma al sovrintendente Girondini piacciono. All'avvio della stagione, sul tavolo tagli al costo del personale per oltre un milione, riduzione dei cachet artistici, chiusura del corpo di ballo. Nel 2016, solo 46 serate d'opera in anfiteatro (-8), sempre i soliti titoli "sicuri" senza alcuna nuova produzione. E la progettualità artistica resta al palo di fumose "idee nuove"

A distanza di 120 chilometri, le due Fondazioni liriche del Veneto stanno procedendo verso il 2016 lungo direttrici diametralmente opposte. In laguna, alla Fenice, gli ultimi anni sono stati contrassegnati dal raddoppio delle rappresentazioni e da un significativo aumento degli spettatori (+ 23 mila). E il trend sembra saldamente confermato. Sulla terraferma, a Verona, dopo un tentativo di procedere nella stessa direzione, che nella scorsa estate ha portato le serate in Arena fino al numero di 54, è stata decisa l’inversione a U e il prossimo festival vedrà una decisa contrazione delle rappresentazioni, ridotte a 46. Meno serate operistiche anche durante la imminente stagione invernale al Filarmonico: mai più di tre repliche per titolo.

Entrambe le Fondazioni hanno un debito notevole, più alto quello dell’Arena, che è sopra ai 31 milioni, rilevante quello della Fenice, inferiore di 4 milioni circa. Entrambe esibiscono bilanci in pareggio, ma solo una viene considerata “virtuosa”, e non ha sede a Verona. Qui sono le iniezioni di denaro fresco, principalmente quelle che provengono dalla multi-utility municipalizzata Agsm, a evitare ulteriori slittamenti nei conti. Si tratta di 7,5 milioni in tre anni, 3,5 dei quali sono appena entrati nelle casse della Fondazione. Ma intanto la Regione ha aperto la doccia fredda e dimezzato il contributo all’istituzione scaligera di cui pure è socia, riducendolo da un milione a 500 mila euro e suscitando l’ira del sindaco Flavio Tosi.

Contrassegnata da varie entrate a gamba tesa di quest’ultimo, tali da scardinare il prudente attendismo del sovrintendente Francesco Girondini sino a farlo apparire sotto tutela, l’estate areniana si è conclusa una volta di più con dati deludenti. Se nel 2014, complice il maltempo (ma nessuna recita è stata annullata) il pubblico era giunto a un palmo dalla soglia psicologica dei 400 mila spettatori complessivi (404.500 circa), quest’anno, con secco stabile (caldo, vabbè, ma ormai la ricerca delle spiegazioni sembra arrivata al livello di quella celebre scena di The Blues Brothers, in cui John Belushi inventava le più inverosimili scuse per giustificare all’ex fidanzata la propria assenza dal loro matrimonio…), ci si è risollevati soltanto di 3.500 spettatori, fermandosi a 408 mila. Incasso giù di 300 mila euro, occupazione media in sprofondo, visto che nel 2014 le serate operistiche erano state in tutto 50 e che quest’anno si è rimasti lontanissimi dai 10 mila spettatori medi per recita, per tutti gli allestimenti.

Girondini, ritrovata la parola dopo mesi di silenzio, durante i quali Tosi ha imperversato attaccando il costo del lavoro dei dipendenti, puntando l’indice sul contratto integrativo (“da 6 milioni di euro”) o annunciando radicali cambi di impostazione artistica, si è detto – beato lui – soddisfatto. A suo parere, infatti, i dati dimostrano “il gradimento della programmazione da parte del pubblico internazionale e il riconoscimento dell’alto valore artistico dell’offerta culturale proposta”.

In realtà, da anni ormai, e nonostante nel 2013 sia stata realizzata una locandina particolarmente robusta per il centenario della prima Aida in Arena, la progettualità è circoscritta allo sfruttamento intensivo di un gruppo di non più di 8-10 opere, fra l’altro con nuove produzioni sempre più rare. Accadrà così anche nel 2016: intorno alla sempiterna, irrinunciabile Aida, ritorneranno vecchie o meno vecchie glorie come la Carmen di Zeffirelli (che ha superato i vent’anni), la Turandot e il Trovatore (sempre firmati dal regista fiorentino), la Traviata secondo l’argentino Hugo de Ana. Nessuna novità, come già quest’anno. Dalla polvere di stelle (con cast che danno sempre più spesso l’impressione di una casualità di medio livello condizionata dallo strapotere degli agenti) alla polvere del repertorio. E la stagione sembra compilata con l’occhio alla classifica delle rappresentazioni areniane: nella top ten dei titoli più rappresentati, le opere 2016 sono rispettivamente al primo, secondo, quarto, ottavo e quinto posto.

L’Arena resta ancora il regno del melodramma come spettacolo popolare, ma il pubblico dalla fine degli anni Novanta si è ridotto di un terzo, da oltre 600 mila spettatori a poco più di 400 mila. Trend rovinoso rispetto all’andamento nazionale, che vede gli spettatori oscillare intorno ai 2 milioni, ma senza variazioni significative negli ultimi 4 anni. Eppure, nonostante le fumose ricette di Tosi per provare a recuperare (contaminazione di generi, accostando la lirica a qualcosa di innovativo, mix di classico e moderno); e nonostante il velleitario tentativo di affidare ad Arena Extra un ruolo più incisivo sui conti (finora la controllata della Fondazione affitta – a pochi soldi, 30 mila euro circa a notte – l’anfiteatro per le serate pop rock: ha senso lanciarla sul ring manageriale dei mega-concerti, già molto affollato?), la partita sul futuro della Fondazione non si gioca d’estate.

È infatti la programmazione al chiuso quella cruciale per il destino dell’ente. La stagione invernale di opera, balletto e concerti ha effettivamente i conti in rosso (non quella in anfiteatro, nonostante i suoi problemi). Ma solo in virtù dell’esistenza anche di questa stagione, la Fondazione ottiene oltre 12 milioni del FUS (il Fondo Unico per lo Spettacolo, che guarda alla programmazione su base annua e continuativa). All’inizio dell’estate, Tosi ha deciso di forzare la mano e ha disdetto l’affitto del teatro Filarmonico (storica sede delle attività invernali, di proprietà dell’Accademia Filarmonica) a partire dal 1° luglio 2016. Sono 400 mila euro all’anno, che pesano peraltro sul bilancio municipale, non su quello della Fondazione. E non è quell’importo il vero problema. Casomai lo è l’affitto ugualmente costoso che invece la Fondazione continua a pagare al Comune per la sede del Museo della lirica AMO, forse il più rilevante flop organizzativo degli ultimi anni.

Il problema è che la soluzione alternativa, il teatro Ristori, per quanto offerto gratuitamente dalla Fondazione Cariverona (sul punto di chiudere la propria autonoma attività di spettacolo nella sala di sua proprietà, perché troppo onerosa e con ritorni esigui), è inadeguato dal punto di vista tecnico e artistico. Contiene la metà degli spettatori del Filarmonico (solo 500), ha un palcoscenico piccolo e poco fungibile (anche se avanzato), dove sarebbe molto difficile adattare le scenografie provenienti da altri teatri, conta spazi di servizio assai ridotti. In pratica, è scomodo da tutti i punti di vista. E soprattutto, obbligherebbe la Fondazione a un’attività fittissima, praticamente irrealizzabile, per cercare di mantenere l’attuale livello di FUS, che dipende da tutta una serie di complessi parametri su produttività e pubblico.

Molti ritengono che quello di Tosi sul Filarmonico sia un bluff e che alla fine un accordo con l’Accademia si troverà, magari più vantaggioso per il Comune, e la stagione non traslocherà. È probabile, anche perché il vero obiettivo del sindaco è il costo per il personale, che del resto è nel mirino delle legge per il risanamento delle Fondazioni. Il piano industriale prevede tagli per 1,1 milioni, soprattutto per i contratti a tempo determinato e gli straordinari. E prevede pure una riduzione dei cachet artistici, il che renderebbe ancora più complessa la ricerca di una migliore qualità (fermo restando che molti sprechi si annidano sotto questa voce). Realizzato con la consulenza finanziaria della società specializzata Kpmg, il piano suggerisce anche l’azzeramento del corpo di ballo, che conta oggi 9 dipendenti fissi, esternalizzando le eventuali necessità coreutiche. Si ignora se per indicare queste soluzioni sia stata utilizzata anche qualche consulenza artistica. Probabile che sia bastato il sovrintendente, pronto peraltro a ridursi lo stipendio del 30 per cento (dagli attuali 200 mila euro annui). Per i sindacati il costo del lavoro è sotto controllo, “virtuoso” rispetto a molte altre realtà nazionali, aumentato di neanche il 2,5 per cento fra 2008 e 2013 (ma i dipendenti fissi sono scesi da 330 a 296). Nello stesso periodo, il debito raddoppiava.

La partita è aperta, il tavolo di confronto non ancora, il nervosismo cresce, arrivano le bordate politiche (la minoranza Pd in Comune ha chiesto la testa di Girondini). Dopo la  trasferta dei complessi areniani in Oman con Turandot, a metà ottobre partirà la stagione sinfonica veronese. Intanto i ragionamenti sulla progettualità artistica sono lontani anni luce, quando invece dovrebbero essere il “core business”.