Concerti

Bruckner, sinfonie come romanzi

Al Filarmonico di Verona la Sinfonieorchester Berlin diretta da Marek Janowski ha affiancato alla monumentale "Romantica" la Quarta di Beethoven. Esecuzione di grande risalto strumentale - VIDEO

Da una Quarta all’altra. Ovvero, dalla Sinfonia in Si bemolle maggiore di Beethoven, la più sottovalutata delle nove, così negletta che ormai la si può ascoltare quasi solo in occasione di cicli monografici completi, alla Sinfonia in Mi bemolle maggiore di Bruckner, detta “Romantica”, quella che gli diede il successo e rimane ancor oggi la più popolare e la più presente nel repertorio.

Era questa l’originale impaginazione del programma portato al teatro Filarmonico di Verona, per il Settembre dell’Accademia, dall’Orchestra di Radio Berlino: un binomio con due grandi protagonisti del sinfonismo tedesco nell’Ottocento e queste loro Quarte, nate quasi ai capi opposti del secolo, nel 1806 quella di Beethoven, fra 1874 e 1881 quella di Bruckner. Una distanza che non è solo cronologica: per quanto decisiva per i destini della musica romantica, la linea indicata dal grande tedesco non appartiene che in pochi e periferici elementi allo stile dell’organista di Linz divenuto sinfonista “in proprio” per caparbietà di carattere e destinato a una notorietà più che altro postuma. L’ascolto delle due opere serve quindi a cogliere, al di là delle ovvie lontananze di stile e di approccio alla forma, soprattutto la profonda differenza “concettuale” che separa i due autori.

Beethoven, che nasce nel Classicismo viennese, fa della Sinfonia il terreno per eccellenza della dialettica espressiva e fa dell’orchestra il mezzo per raggiungere una nuova profondità sintetica, costruita dal rapporto fra i timbri non meno che da quello fra i temi. Da questo punto di vista, la sua Quarta afferma un’originalità poco riconosciuta. Venuta dopo l’Eroica, composta mentre prendeva forma la Quinta, questa Sinfonia illumina una diversa e parallela idea creativa in cui gli elementi formali della tradizione si arricchiscono più che del già acquisito vigore ritmico e dell’irruenza tematica, di un senso del colore che preannuncia quanto si compirà con la successiva Pastorale. Lo aveva ben capito un esperto di orchestrazione come Berlioz, che considerava l’Adagio: «… talmente puro, angelico e di irresistibile tenerezza nell’espressione melodica, che l’arte prodigiosa della sua complessa fattura sparisce del tutto!» Si riferiva, il musicista francese, alla straordinaria trama degli strumenti a fiato, in dialogo incessante e sfaccettato con gli archi sulla linea della semplice ma per questo poetica invenzione melodica.

Bruckner appartiene cronologicamente al pieno e tardo Romanticismo, ma le sue vicende personali e musicali ne fanno un “grande isolato”. Il suo approccio al mondo della Sinfonia è unico proprio per questo motivo, perché non nasce da una consapevolezza estetica e storica ma principalmente da una sensibilità nativa quanto tardiva (si diede a queste composizioni dopo i 40 anni), allo stesso tempo ingenua e grandiosa, che adotta mezzi linguistici “naturali”. Egli quindi imbocca una strada che porta in una direzione molto diversa da quella indicata da Beethoven. Nella Quarta di Bruckner non c’è sintesi, non c’è tensione dialettica interiore. C’è invece una diffusa vena “narrativa” noncurante di ogni formalismo, una poesia ruvida e per questo affascinante, che non è all’altezza di quella di cui fu capace Schubert, ma che è fatta della stessa stoffa. E la ricerca dell’atmosfera, del “clima espressivo” si distende per più di un’ora in paesaggi dalle suggestive risonanze arcaiche (quando parlava di romanticismo, questo musicista pensava al Medioevo, a foreste incontaminate, a scene di caccia e cavalcate di armigeri), con una scrittura maestosa ma sommaria, dai colossali “unisono”, che giustappone monumentali frammenti nell’ultima epifania della celestiale lunghezza di schubertiana memoria.

Nell’uno e nell’altro caso, l’orchestra berlinese, guidata da Marek Janowski, ha offerto una prova di esemplare musicalità e di ammirevole duttilità stilistica. In Beethoven, la vivacità nei dialoghi fra le sezioni è stata sostenuta da una maestria strumentale senza ombre, mentre Janowski (un direttore che dirige a memoria: specie ormai in via di estinzione!) provvedeva a disegnare un fraseggio svelto ma non superficiale, anzi ricco di chiaroscuri ben condotti. In Bruckner, la formazione tedesca ha disegnato un suono corposo, brunito nella magnifica omogeneità degli archi, dorato nella ricchezza di sfumature degli ottoni, profondo ed evocativo, sempre minuziosamente preciso, nella compattezza dei corni, che sono i più autentici protagonisti della Sinfonia “Romantica”. Grande eloquenza, dunque, ma anche sottile analisi da parte di Janowski, che ha fatto gustare dettagli non sempre nitidi com’è avvenuto in questa interpretazione, votata a raggiungere la grandiosità dell’insieme con l’evidenza dei particolari.

Successo convinto, con applausi scroscianti e numerose chiamate nella speranza di un bis che non è arrivato.