Cronache

Miracoli del marketing

Giovanni Allevi scrive l'Inno della Serie A, il web si scatena in critiche feroci, i media parlano di queste ultime e non del pezzo musicale, modesto e scarsamente originale. Tutto serve a promuovere l'immagine del pianista...

Non c’è dubbio che Giovanni Allevi e chi ne promuove l’immagine sappiano bene come muoversi per ottenere la massima visibilità. Fin dall’inizio della sua carriera. E ciò fa comunque di questo musicista un caso degno di essere studiato, sia pure molto più sul piano socio-mediatico e delle nuove frontiere della comunicazione di massa che su quello artistico. Altrettanto certo è il fatto che la radicalizzazione della discussione sul pianista di Ascoli Piceno – idolatrato oppure odiato, senza sfumature – è “cavalcata” da una strategia di marketing capace di rendere utili anche i detrattori, tanto più se sono personaggi importanti.

Ora, con il caso dell’Inno della serie A (si può ascoltare qui), oggetto di una virulenta levata di scudi in Rete, si è entrati in una fase nuova. Il testimone della critica feroce è passato dai grandi nomi alla indeterminata schiera del “popolo dei Social”, che si è scatenato su Twitter, sempre più sciocchezzaio globale, e su altre piattaforme. Come sempre in questi casi, il limite della dissennatezza, anche minacciosa, è stato più volte oltrepassato. E per questo Allevi merita solidarietà. Ma non ci stupisce che nonostante insulti e minacce abbia dormito tranquillo lo stesso – come lascia trapelare il suo entourage. Ha ottenuto infatti una nuova dose di visibilità e la sua popolarità si accresce. Perché quasi da nessuna parte, sui mezzi d’informazione, ci si è preoccupati di guardare la luna invece del dito che la indica. Tutti a parlare dell’ondata di ingiurie per via telematica, che è una pur deleteria conseguenza, e non della composizione che l’ha originata, che è il punto di partenza della vicenda.

La storia di Giovanni Allevi, 46 anni, è quella di un musicista dal notevole palmarès accademico (diploma in pianoforte e in composizione, laurea in filosofia), dotato di talento, che entra nella cerchia di Lorenzo Jovanotti, e dopo un paio di dischi di buon successo spicca il volo da solo grazie all’assistenza di un management a dir poco geniale, avanzatissimo sul piano del marketing. La costruzione del personaggio è minuziosa: apparentemente debole e indifeso, affetto da fobie e manie varie, sentimentale, in realtà determinato e sicuro nella lunga serie di “sparate” da inventore di un nuovo genere musicale, la “classica contemporanea”, grazie alla quale si mette in competizione con Mozart e Beethoven, sentendosene all’altezza.

Più le dice grosse, più Allevi attira l’attenzione su di sé e la sposta dalla sua musica o dalla sua qualità come pianista. Autore di brani di facile consumo, orecchiabili e senza secondi fini, sull’onda di un successo crescente continua imperterrito ad attribuire loro significati complessi, perfino esoterici, e valori estetici strabilianti, senza imbarazzo nell’esaltare se stesso. Il colpo grosso della sua carriera è del 2008, quando viene chiamato (lui, che direttore d’orchestra non nasce), a dirigere l’orchestra veronese “I Virtuosi Italiani” nel concerto natalizio al Senato, in diretta Rai. Prima, ci erano entrati per far musica solo i “guru” nazionali della classica. Il violinista Uto Ughi quasi sbrocca ed esplode una polemica da parte del mondo accademico che ha il solo effetto di gettare benzina sul fuoco di un successo ormai inarrestabile. Da allora entra nel “gotha” italiano dei musicisti di tendenza. Anche il centocinquantenario dell’Unità lo vede in prima fila. Per mesi, l’Inno di Mameli che tradizionalmente chiude a mezzanotte le trasmissioni radio della Rai è quello da lui diretto alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Esecuzione debole, sciatta; impietoso il confronto con quella di Abbado alla testa dei Berliner Philharmoniker, che poi ne prende il posto.

È inevitabile che con una simile visibilità (è stato ospite al festival di Sanremo, nello scorso febbraio, le tournée sono incessanti, le uscite discografiche costanti) i cervelloni della Lega Calcio, che di musica nulla sanno, chiedano a lui di scrivere l’Inno della Serie A, da suonare prima di ogni partita del campionato.

È un “jingle” che nella versione che finora si sente in rete dura meno di un minuto: grande sfoggio di trombe, corni e timpani all’inizio, una fanfara che ricorda molto – troppo – il John Williams delle colonne sonore di Superman, o Guerre Stellari. Poi parte un coro in ritmo di marcia che riecheggia Morricone, senza il suo rigore e la sua poesia. Le parole, gonfie di retorica, sono dello stesso Allevi, chissà perché metà in latino e metà in inglese. E che ci sia un’esortazione a evitare la corruzione, visto lo stato delle cose pallonare in Italia, appare almeno patetico. Sospettiamo che nella versione integrale, a giudicare dalla lunghezza testo, ci saranno almeno un paio di minuti di musica.

Intanto tutti ne parlano, molti sparano a zero, si alza il polverone mediatico sulle reazioni, niente pareri critici motivati sul pezzo. Effetto-Allevi, come sempre sapientemente gestito. Meglio sussurrare, allora: l’Inno della Serie A è un pezzetto superficiale e banale, da spot pubblicitario, di originalità vicina a zero. Allo stadio, alla terza partita non ci farà più caso nessuno. E chi sta davanti alla Tv ha sempre il telecomando.

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Pubblicato su Vvox.it

 

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