Cronache

Fondazione Arena, l’azzardo di Tosi

Il sindaco di Verona vuole disdire l'affitto del teatro Filarmonico e ripiegare sul più piccolo Ristori. Ma così la stagione lirica d'inverno e quella sinfonica si ridurrebbero ai minimi termini, con un forte impoverimento culturale

Dal “fund raising” alla “spending review”. Ovvero: dopo la raccolta di denaro fresco, i tagli. Nella difficile partita del risanamento della Fondazione Arena, che ha i conti in rosso per oltre 7 milioni, l’ultima mossa del sindaco di Verona, Flavio Tosi, apre scenari operativi non inediti ma finora mai usciti dal livello di astratta ipotesi.

E dunque, dopo avere ottenuto da istituti di credito ed enti veronesi un maggiore impegno finanziario, dirottando sulla Fondazione anche una parte non indifferente degli utili dell’Agsm, la “multiutility” veronese (energia, gas, acqua), realizzando maggiori entrate per circa 4 milioni di euro all’anno in tre anni, Tosi ha spiazzato tutti:  è trapelato infatti sul quotidiano L’Arena che la giunta sarà chiamata a votare la disdetta del contratto di affitto del teatro Filarmonico, che scatterà all’inizio di luglio del 2016. Il risparmio annuo sarà di 400 mila euro.

Da quando esiste la Fondazione, cioè dalla metà degli anni ’70, il settecentesco pregevole teatro di proprietà dell’Accademia Filarmonica viene affittato dal Comune (che a Verona non è proprietario di alcuna sala dello stesso tipo) e affidato alla Fondazione stessa, che vi tiene tutte le sue attività non estive: la stagione sinfonica e quella operistica, in genere da ottobre a maggio.

L’attività “al chiuso” distribuita lungo tutto l’anno è fondamentale perché la Fondazione possa essere considerata tale: grazie ad essa si raggiungono le condizioni previste dalla legge per ottenere i finanziamenti del Fondo Unico dello Spettacolo, che valgono fra i 12 e i 14 milioni di euro all’anno. Ciò nonostante, da quasi un decennio (da quando l’attuale sovrintendente Girondini subentrò a Claudio Orazi, poco dopo la prima vittoria di Tosi alle elezioni comunali) uno degli argomenti ricorrenti nella discussione sul deficit della Fondazione riguarda il “peso” finanziario dell’attività al Filarmonico. Senza di esso, secondo questa visione, l’Arena come teatro lirico potrebbe diventare economicamente compatibile, forse addirittura produrre utili.

Rinunciare al teatro comporterebbe un epocale cambiamento nella gestione dell’opera a Verona e per il momento non è stata questa l’intenzione dichiarata da Tosi. Che ha fatto invece capire di voler puntare su una sala ottocentesca poco lontana dal Filarmonico, il teatro Ristori, di proprietà della Fondazione Cariverona che vi tiene spettacoli di danza e concerti (soprattutto jazz) da quando l’ha riaperto alcuni anni fa dopo un lungo restauro. Il presidente della Cariverona, Paolo Biasi, avrebbe già garantito a Tosi la gratuità dell’affitto. E se l’accordo si perfeziona sarebbe pronto a chiudere la stagione gestita direttamente dalla Fondazione bancaria, considerata troppo onerosa.

Soltanto un gioco di domino, allora? Non è così semplice. In realtà, il Ristori (dove già la Fondazione tiene alcuni concerti della stagione sinfonica) non ha quasi per nulla le caratteristiche tecniche necessarie per garantire una stagione come quelle finora viste al Filarmonico, del quale è fra l’alto la metà anche per capienza: 499 spettatori contro oltre mille. Aldilà dell’adozione di tecnologie avanzate, il palcoscenico è molto più piccolo, la buca dell’orchestra quasi irrisoria, scarsi i servizi (camerini, sale). Quasi impossibile pensare di collocarvi il repertorio operistico più popolare (quello ottocentesco) così come realizzare concerti sinfonici che richiedano formazioni orchestrali con più di una cinquantina di elementi; resterebbe escluso tutto il repertorio romantico, tardoromantico e novecentesco.

È possibile che Tosi, nell’aprire questa partita, abbia solo l’intenzione di forzare la mano all’Accademia Filarmonica, ottenendo un ulteriore sconto sull’affitto (già ridotto recentemente di 150 mila euro). Sta di fatto che ha imboccato una strada che potrebbe teoricamente portare perfino alla chiusura della Fondazione (320 dipendenti stabili) e al ritorno del Festival Lirico in Arena, con masse artistiche e tecniche a chiamata e a tempo determinato e ben altri presupposti economici e contrattuali. Non a caso, i sindacati di categoria si sono detti “allarmati”.

Se Tosi e il suo fido Girondini andassero fino in fondo, la realtà musicale di Verona potrebbe diventare questa: un festival operistico di due mesi e mezzo in estate, nulla o quasi per il resto dell’anno. Niente lirica e sinfonica al lumicino. Con un’Accademia Filarmonica a sua volta ridotta ad attività minima dalla mancanza del fondamentale cèspite derivante dall’affitto del teatro. Per parafrasare Tacito: farebbero un deserto culturale e lo chiamerebbero pareggio di bilancio. Ma allora come mai poco distante, alla Fenice, c’è il pareggio di bilancio si fanno quasi 200 serate fra lirica e sinfonica e più di un centinaio di altre manifestazioni?

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Pubblicato su Vvox.it

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