Opera

Rossini? Un cartone animato

Il cartone animato comincia con Rossini a letto in cerca di ispirazione, bottiglia di vino e ghiottonerie a portata di mano sul comodino, carta da musica sparsa qua e là. Immagine un po’ stereotipata, forse, ma non priva di agganci con le testimonianze anche autobiografiche. Il segno elegante e ironico delinea un compositore corpulento quanto basta per chiarire lo schema dello spettacolo che seguirà. Perché l’anagramma di Gioachino Rossini, punto di partenza del Barbiere di Siviglia al Filarmonico di Verona, firmato dal regista Pier Francesco Maestrini e dal cartoonist Joshua Held (che a dispetto del nome è italiano di Firenze), suona così: “Grassoni chi? Noi, io?”.

Tutti grassoni, dunque, in una sorta di “clonazione seriale” del creatore del capolavoro buffo. E se Rossini sul grande schermo che occupa la scena è lo “stampo” di tutti i personaggi principali e specialmente di Figaro, i cantanti veri sono “travestiti” in modo tale da risultare tutti comicamente, anche grottescamente grassi.

Da tempo le immagini in movimento – proiezioni, video, veri e propri spezzoni di film – sono diventate una soluzione registica nell’opera, non senza problemi di senso e di drammaturgia. Una novità assoluta almeno in Italia è invece l’uso del “graphic novel” come elemento centrale nella rappresentazione. L’esperimento di Maestrini e Held rovescia infatti (e finalmente) lo storico rapporto fra cartoni animati e grande musica, che è stato fervidamente decisivo fin dagli albori del genere e si è poi sviluppato ampiamente arrivando a caposaldi del cinema di animazione (più che dell’interpretazione musicale) come Fantasia.

Lo spettacolo veronese, ed è questo che ne garantisce la sostanziale riuscita, non vuole essere un cartoon corredato di musica accattivante. Al contrario, è una rappresentazione operistica che si affida al disegno animato per offrire un risvolto d’immagine coerente con la commedia travolgente, capace di toccare le vette del comico assoluto, che è Il barbiere di Siviglia.

Questo avviene grazie a una “partitura grafica” sofisticata e dai livelli di lettura stratificati, come avviene nei migliori casi del genere. Certo, c’è l’elemento accattivante e popolare, che può funzionare per rendere lo spettacolo utile a chi si avvicina per la prima volta non solo al Barbiere ma in generale all’opera, giovani e giovanissimi. Ma c’è anche un articolato sistema di citazioni, sia dei grandi classici d’animazione sia del cinema in generale, giocato non solo in narratività evidente, ma anche all’interno di un immaginario più astratto. L’esempio più chiaro si ha in occasione del temporale al secondo atto, il “luogo” dell’opera in cui maggiormente Joshua Held sbriglia la fantasia, partendo dai personaggi per arrivare ad alludere perfino al naufragio del Titanic o a Moby Dick prima di tornare alla vicenda.

I risultati più convincenti nel corso dello spettacolo si hanno quando fra cartoon e personaggi in carne e ossa si realizza un’interattività capace di fare degli interpreti vocali una sorta di estensione 3D dei disegni. E del resto, spesso i cantanti entrano ed escono dallo schermo, tramite un pertugio ricavato al centro, e l’effetto è brillante e coinvolgente. In generale, l’ironia e il senso del paradossale di Held – al netto di pochi momento in cui le immagini tendono a prevaricare la drammaturgia e di qualche inutile rumore fumettistico aggiuntivo – servono con complice efficacia la comicità rossiniana. Nel secondo atto, poi, il cartoonist si concede “divagazioni” e gag graffianti, ad esempio mettendo alla berlina un caricaturale Giovanni Allevi che cerca di intrufolarsi fra i personaggi disegnati, ottenendo il solo effetto di essere preso a pomodori in faccia o addirittura schiacciato da un sorridente e immenso Luciano Pavarotti, sotto lo sguardo accigliato di Verdi.

L’allestimento veronese vede sul podio Stefano Montanari, che dirige con spigliata leggerezza, più evidente nel secondo atto, ottenendo qualche buon colore ma solo a sprazzi scatenando l’energia più coinvolgente, anche in virtù di una scelta di tempi molto discontinua, spesso tendente a rallentare oltre il lecito.

Nella compagnia svetta il tenore Edgardo Rocha, un Almaviva elegante e agile, a suo agio nella coloratura sia nella cavatina che nell’arduo Rondò conclusivo, “Cessa di più resistere”, così spesso espunto nelle rappresentazioni. Annalisa Stroppa è una Rosina un po’ acerba ma musicale, più efficace nella zona acuta che in quella mezzosopranile della tessitura. Christian Senn è un Figaro estroverso e vigoroso, dal buon timbro brunito, mentre Omar Montanari molto opportunamente libera il personaggio di Bartolo dagli orpelli caricaturali, anche se non è precisissimo nell’agilità. Marco Vinco dà a Basilio voce corposa, non sempre ben controllata nella zona superiore, Salvatore Grigoli e Irene Favro si propongono con efficacia nei ruoli di Fiorello e Berta.

Successo pieno, calorosissimo: l’esperimento merita nuovi sviluppi.

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