Cronache

Arena, lettere aperte e occhi chiusi

Tiene banco la proposta avanzata da due avvocati e un imprenditore veronesi, che caldeggiano una società di fund raising e gestione ad azionariato diffuso: proposta vaga e tecnicamente problematica. Molto più concreta l'indicazione sulla necessità di un nuovo sovrintendente, idea che il sindaco Tosi adesso non respinge. Nel documento, totalmente dimenticato il ruolo della stagione al Filarmonico

Mentre i nodi della sciagurata gestione di Fondazione Arena stanno per arrivare al pettine, fioriscono a Verona gli appelli e le lettere aperte. Una raccolta di firme lanciata da Sergio Noto, docente di storia economica all’università scaligera, indica quattro obiettivi molto sensati: stabilità, integrità del teatro, valorizzazione e sinergie artistiche, marketing. Sarà interessante vedere quanti veronesi aderiranno, soprattutto per capire se e come la città sia sensibile al problema del proprio teatro d’opera e del festival lirico in anfiteatro. Lo scetticismo al riguardo è diffuso. E deborda inevitabilmente anche sull’idea (più che altro, un “ballon d’essai”) che sta facendo maggiormente discutere in questi giorni, quella di una società ad azionariato diffuso che dovrebbe occuparsi di creare, reperire e gestire fondi privati per rilanciare il festival estivo. La trovata arriva da un’inedita troika di notabili veronesi, molto attrattiva per la stampa locale (le paginate si sprecano), che appare composta secondo una versione scaligera aggiornata di antichi manuali Cencelli: un tosiano (l’avvocato Giovanni Maccagnani), un anti-tosiano (l’imprenditore Giuseppe Manni, fra l’altro fermo oppositore della copertura dell’anfiteatro), un professionista con eccellenti entrature nel sistema bancario locale e nazionale (l’avvocato Lamberto Lambertini). Gli ultimi due sono cavalli di ritorno, nel senso che in passato (un decennio almeno) sono stati nel consiglio della Fondazione.

Il sindaco ha già dichiarato che tecnicamente l’idea dell’azionariato diffuso ha più controindicazioni che altro. Ma ha promosso la formazione di un soggetto commerciale vocato a valorizzare il marchio Arena. Non Arena Extra, ha aggiunto, che fa altro. E così s’infittisce il mistero su che diamine faccia la controllata che immobilizza un capitale di 12 milioni della Fondazione per cessione di ramo d’azienda costituito archivi e costumi, ma che ha un capitale di 90 mila euro e genera 10 mila euro di utile a fronte di un fatturato di circa un milione e mezzo.

Il trio dei notabili ha qualche dato da aggiornare (pensano ancora che gli spettatori estivi siano mezzo milione, quando sono 400 mila, il 20 per cento in meno, svanito nel giro di pochi anni) e una visione culturale non certo originale (“serve qualità”: benvenuti nel club di chi lo sostiene da sempre). Per altri aspetti, la visione è parziale e insufficiente. Non una parola viene spesa, ad esempio, per il teatro Filarmonico e per le sue importanti stagioni. Eppure solo l’esistenza di queste stagioni e di un’attività stabile, spalmata lungo tutto l’arco dell’anno, ha consentito alla Fondazione Arena di essere tale e di incassare finora almeno 12-13 milioni all’anno dallo Stato. Soldi pubblici: qualcuno li vuole buttare puntando solo su un festival estivo nell’anfiteatro romano, sperando che l’ipotetico azionariato popolare riempia le casse vuote? Tosi non ci pensa neanche un secondo.

In attesa che le cortine fumogene si diradino, annotiamo invece il più importante dato “politico” della lettera aperta, che – per ora – è anche il suo unico effetto concreto: è stata sdoganata l’idea che sia inevitabile un cambio alla guida della Fondazione. Nel documento, fra i minuetti di una prosa cancelleresca, si delinea la figura di un sovrintendente-manager, evidentemente diverso dall’attuale, che trovi l’equilibrio fra costi e qualità e rifiuti “le stanche repliche nel teatro semivuoto”. Un festival dell’ovvio, discorsi che si sentono praticamente da sempre. Ma Tosi, che fino all’altro giorno aveva difeso a spada tratta Girondini, non fa una piega. Chi tace acconsente. E viene il ragionevole dubbio che sindaco e troika stiano facendo gioco di squadra per arrivare all’inevitabile, obbligatorio cambio al vertice.

Nel mondo reale, l’incapacità del Consiglio d’indirizzo di approvare il bilancio di previsione 2016 rende ancora più oscuri gli orizzonti di Fondazione Arena. È ormai chiaro che i conti sono una voragine sempre più profonda. E non è detto che il nuovo sacrificio contributivo del Comune (annunciato da Tosi) riesca a fare arrivare al pareggio previsionale, che è condizione per l’anticipazione del Fus. Da tempo ormai i fornitori, se possono, preferiscono stare alla larga da una Fondazione che sta fortemente scontentando anche gli artisti (cantanti, direttori), con dilazioni nei pagamenti sempre più lunghe; se nel giro di una settimana non si trova la quadratura del cerchio contabile, sono a rischio anche gli stipendi dei dipendenti. È chiaro che le difficoltà nel mettere a punto il previsionale 2016 sono figlie della realtà dei conti 2015, sui quali finora non un sussurro è trapelato. Questione di tempo, per legge il bilancio consuntivo dev’essere approvato, e pubblicato, entro il 30 aprile.

Intanto riprendono le trattative sindacali, dopo il terremoto dell’ennesima sparata tosiana (chiudo tutto, aveva detto in pratica. Magari vorrebbe davvero, ma gli devono avere fatto capire che non è possibile). Il calendario di incontri è fitto, ma è ormai chiaro che i tagli forsennati sul personale non basteranno certo a sanare la situazione. Anche perché non sono dietro l’angolo: i ricorsi giudiziari incombono e alle porte premono i precari che hanno chiesto a qualche giudice l’assunzione stabile. Il tribunale di Verona ha rinviato ancora la decisione su una quarantina di casi, ma non è pensabile che lo possa fare indefinitamente.

Mancano poco più di tre mesi all’inaugurazione del festival, ancora non è stato reso noto un solo nome di cantante o direttore d’orchestra per gli spettacoli previsti.Dopo l’inverno del grande scontento, si annuncia una primavera caldissima. Quanto all’estate, è fin troppo vicina eppure tremendamente lontana.

 

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